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Si ripete anche a Terranova il rito arboreo della "Pita"

29/05/2012

Si è ripetuto anche quest’anno a Terranova di Pollino l’ormai consueta ed affascinante festa della “Pita”: il rito arboreo in onore di Sant’Antonio da Padova, che affonda le proprie radici nella notte dei tempi e che rappresenta, ancora oggi, un autentico esempio di sincretismo pagano-religioso dove regna, comunque, immutato negli anni, un forte senso di comunità e di aggregazione. Una cima e un albero, che si uniscono in un rudimentale matrimonio, quasi a suggellare quella secolare vocazione umana alla famiglia e all’unità sociale tipiche di queste terre.
L’evento si suddivide sommariamente in due fasi. Una prima fase è quella della scelta dell’albero. L’ultimo sabato di maggio, alle prime luci dell’alba, infatti, giovani e anziani si dirigono nel bosco dove viene selezionato e tagliato un abete bianco. Il tutto avviene in un’ aria di festa, ricca di musica popolare, ove si ostenta la bellezza e l’arcaicità di alcune danze come la tipica “pastorale” (che ci viene descritta anche dal viaggiatore straniero Norman Douglas nell’ opera “Old Calabria”). Oltre alla pianta di abete che nel rituale rappresenta il sesso maschile, viene poi tagliata una cima
(u cima) che rappresenta la “sposa” e che viene doverosamente ornata con fiori e nastri lungo la processione verso il paese. Il tronco viene invece ripulito dai rami e dalla corteccia e viene rigorosamente levigato. Con i rami ottenuti vengono poi costruiti dei pali, detti “pannua”, che a mo’di leve vengono utilizzati come mezzi ausiliari per il trasporto. Dopodiché il tronco viene condotto processionalmente verso il paese, ove la gente del posto offre prodotti tipici come formaggi, salumi, le tipiche “crispelle”, e dell’ottimo vino, il tutto sempre accompagnato dallo straordinario e mistico suono delle zampogne. L’albero, solitamente di una lunghezza che varia dai 16 ai 23 metri, viene legato ad una coppia di buoi (ù paricchië) per fare la sua entrata trionfale in paese e la conseguente processione lungo il corso principale dell’abitato. Simultaneamente il cimale viene portato a spalla. Finita, a tarda ora, la processione “accompagnata” dai soliti canti popolari e dai prodotti gastronomici offerti in devozione dalla gente del posto, lo “sposo” e la “sposa” vengono portati dinnanzi alla cappella di Sant’Antonio da Padova, dove vengono lasciati fino al 13 giugno, giorno della festa. In questa data, nel primo pomeriggio, il tronco e la cima vengono innestati, a sigillare il loro “rudimentale” matrimonio, arcaico simbolo di rigenerazione della natura, auspicio di fertilità. La dinamica di questo rito arcaico richiama in modo lapalissiano il rituale latino dell'Arbor intrat ("Entra l'albero"), celebrante la morte di Attis, giovane amato dalla dea Cibele. Quel giorno si tagliava il pino, simbolo del dio, se ne fasciava il tronco con sacre bende di lana rossa, lo si ornava di viole e strumenti musicali e sulla sua sommità si ponevano le effigi del dio giovanetto. L'albero veniva portato dai "dendrofori" fino al tempio di Cibele, dove avveniva la commemorazione funebre di Attis.

Mario Golia

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