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Calcio - Il leggendario Andrea Esposito, altro pezzo del ‘Grande Senise’

29/07/2017



Andrea Esposito (nella foto con José Altafini ai tempi del Napoli), attaccante classe 1950 di Sant'Arcangelo dalla tecnica sopraffina e con un sinistro impareggiabile, è di diritto, con Zaza e Selvaggi, sul podio dei calciatori lucani più forti di tutti i tempi.
«Ho fatto parte del "Grande Senise" e del "Piccolo Senise" - esordisce Esposito - perché ho iniziato con Fortunato Sole da ragazzino nel 1966/67, per ritornarci in seguito, grazie a Pasquale Seccafico, in una compagine molto più forte. Eravamo una bellissima squadra e facevamo divertire». Ma i ricordi non sono finiti. «Di quel gruppo faceva parte anche mio fratello Gino. Erano tempi bellissimi, eravamo tutti molto uniti e siamo andati sempre d'accordo. In particolare serbo un ottimo ricordo dei mitici Salerno e Taccogna».
Ma prima dell'approdo al "Grande Senise" di Seccafico e Infantino ne sono successe di cose. In particolare dalla Serie D a Policoro quando ci fu, nella stagione 1971/72 grazie a Gianni Di Marzio, il grande balzo in Serie A nel Napoli di Iuliano, Altafini e Dino Zoff, con Chiappella allenatore. «Quando stavo bene, il titolare insieme ad Altafini ero io», ci dice. Ma l'esordio fu un po' tribolato. «Ero in panchina contro la Juve, pareggiavamo 2 a 2 ma ci stavano massacrando. Zoff fu il migliore in campo, infatti per me fu quella la partita che gli consentì di arrivare in bianconero. Chiappella - continua - mi chiese di entrare per Altafini, che era stanco ma stava giocando bene, ed io mi rifiutai per paura che mi avrebbero potuto incolpare di un'eventuale sconfitta. Poi entrai nella successiva sconfitta per 6 a 2 con il Vicenza di Maraschi e Damiani, per poi essere schierato titolare nella vittoria 4 a 0 del San Paolo contro la Roma di Helenio Herrera prima in classifica (cui rifilò una doppietta ndr)». Sembrava essere tutto pronto per spiegare le ali e spiccare definitivamente il volo verso una grande carriera in Serie A, ma non fu così. «Ne hanno dette tante, storie del tipo che avessi un pessimo rapporto con Iuliano o sciocchezze sulle donne. La verità è che quell'anno, e anche in quelli dopo, ho avuto grossi problemi per gli infortuni. A Napoli come da altre parti». E infatti fanno crack prima il menisco e poi il quadricipite, e Chiappella gli consiglia di andare a giocare altrove per ritrovare la migliore condizione. «Dopo una toccata e fuga a Catanzaro, andai alla Reggina in B nella stagione successiva, ma non mi sono trovato bene anche per un altro problema fisico e, dopo essere quasi passato al Brindisi di Luis Vinicio che però rifiutai, Concetto Lo Bello (ex grande arbitro ndr), che mi conosceva anche perché ero molto amico del figlio Rosario (altro grande fischietto ndr), mi volle fortemente nel suo Siracusa in Serie C. E lì feci benissimo, tanto che il Napoli mi riscattò. Ma intanto Chiappella se ne era andato a Firenze e per sedere sulla panchina azzurra fu scelto Vinicio che non mi volle poiché era arrabbiato per il mio precedente rifiuto al suo Brindisi». E da lì il ritorno in C alla Juve Stabia, dove gli occorre l'ennesimo infortunio, e alle serie minori. Ma alcuni aneddoti non si possono dimenticare. «In allenamento Dino Zoff mi chiedeva di calciare verso la propria porta per provare a intuire le traiettorie dei miei tiri. Ma sul mio esterno sinistro - rammenta divertito - non riusciva proprio ad arrivarci».
Oggi c'è ancora un Esposito che sta facendo benissimo ed è il figlio Alfonso, allenatore della Santarcangiolese arrivata quest'anno in Promozione. «Ne sono molto felice - ammette l'ex punta partenopea -. Alfonso è stato un mio giocatore a Villa d'Agri e Sant'Arcangelo, e fu anche capocannoniere. Con lui non sono mai stato tenero, anzi. Non volevo si pensasse che giocava solamente in quanto mio figlio. Da quando è allenatore gli ho detto di chiedermi qualsiasi cosa, ma senza mai intromettermi». Un piccolo segreto però gliel'ha trasmesso. «Senza averglielo mai detto esplicitamente, gli ho fatto capire che i moduli sono solo numeri che variano in base agli elementi che si hanno a disposizione. Per un allenatore, ciò che conta veramente è entrare nella testa di un giocatore e fargli capire di essere uno di loro e che insieme devono essere pronti ad andare contro tutto e tutti. Perché il segreto per vincere è l'unità squadra allenatore. Soltanto così un tecnico potrà ottenere il massimo dai suoi ragazzi».

Gianfranco Aurilio
lasiritide.it


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