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Pasta, Cia denuncia: prezzi del grano fermi a 20 anni fa nonostante ricavi industriali triplicati

3/08/2025



L’industria della pasta ha triplicato i ricavi, ma i prezzi riconosciuti ai produttori di grano duro restano fermi a livelli di vent’anni fa, nonostante i costi di produzione attuali, arrivati fino a 1300 euro per ettaro. È l’allarme lanciato dalla Cia Agricoltori, che denuncia uno squilibrio nella filiera: il grano viene pagato tra 28 e 34 centesimi al kg, mentre la pasta si vende da 2,5 a 4 euro al kg. A rischio è la cerealicoltura italiana, con cali produttivi in regioni chiave come Puglia, Sicilia e Basilicata e una crescente dipendenza dalle importazioni, soprattutto da Canada, Russia e Turchia. La Cia chiede interventi immediati per valorizzare il grano duro italiano, garantire trasparenza nella filiera e tutelare i produttori.
Segue comunicato.


L’industria della pasta ha triplicato i propri ricavi, il costo della pasta nei supermercati è aumentato, ma i prezzi riconosciuti ai produttori di grano sono quelli di 20 anni fa con i costi di produzione attuali, arrivati anche a 1200-1300 euro per ettaro, vale a dire 34 centesimi al kg per il grano duro, 29,5 centesimi/kg per il fino e 28,5 centesimi/kg per il mercantile, contro il prezzo della pasta che può variare da 2,5 a 4 euro al kg. E’ l’allarme lanciato da Leonardo Moscaritolo, produttore cerealicolo di Melfi e presidente sezione di prodotto cereali dell’area di interesse economico produzioni vegetali della Cia-Agricoltori.
“Che il 2024 sia stato un anno record per la produzione di pasta italiana è un dato positivo -spiega il vice presidente nazionale Cia Gennaro Sicolo- ma per i produttori di grano duro italiano, vale a dire per il primo e più importante anello della filiera, negli ultimi anni le cose sono andate di male in peggio: molti hanno rinunciato a seminare, i raccolti sono stati eccellenti dal punto di vista qualitativo ma sono calati quantitativamente soprattutto in Puglia, Sicilia e Basilicata, cioè nelle regioni leader per la produzione del cereale di punta della cerealicoltura italiana. Al ministro Lollobrigida e al sottosegretario La Pietra riconosciamo il merito di avere almeno avviato Granaio Italia, ma con loro dobbiamo essere molto franchi: occorre che tutte le misure del provvedimento siano attuate e dispieghino completamente i loro effetti per valorizzare e tutelare il lavoro insostituibile dei nostri cerealicoltori e il grano italiano.

LA RICETTA CIA - Cambiamenti climatici, importazioni selvagge e in continua crescita (soprattutto da Canada, Russia e Turchia), prezzi al produttore inadeguati, squilibri di mercato e concorrenza sleale dei Paesi extraeuropei: sono questi i 5 principali fattori che, secondo Cia hanno portato a una crisi profonda la cerealicoltura italiana. “Sulla cerealicoltura e la filiera grano-pasta -denuncia Sicolo- rischiamo di essere sempre più dipendenti dall’estero: coltivare grano in Italia è sempre più rischioso e meno remunerativo. Di questo passo, la vera pasta italiana prodotta con grano duro italiano diventerà sempre più una rarità. Ecco perché bisogna agire subito promuovendo meccanismi che valorizzino il grano duro italiano, lo mettano al centro della produzione della pasta 100% made in Italy, con azioni che rendano trasparente e cristallina la totale tracciabilità e riconoscibilità del percorso dal campo di grano italiano alla produzione di pasta realmente made in Italy. I consumatori devono essere messi nelle condizioni di capire, leggendo l’etichetta, se la pasta che stanno acquistando è realizzata davvero utilizzando come materia prima il grano duro italiano. Occorre che l’Italia e l’Europa tutelino le nostre produzioni. A differenza del Canada, noi non utilizziamo glifosato. Occorre che i controlli sulle importazioni siano sistematici. Ed è necessario -aggiunge- un vero patto di filiera tra la parte industriale e i cerealicoltori: se le cose continuano ad andare come negli ultimi anni, l’industria non avrà più grano italiano per produrre la pasta made in Italy”.




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