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Cronaca di una tragedia

15/11/2010

Questa settimana esamineremo un testo che non è un testo letterario e neanche storico in senso stretto ma una raccolta di documenti di cronaca: “ I Diari 1937 – 1943 “ di Galeazzo Ciano. Voglio introdurre la descrizione dell’opera che andremo a conoscere con le parole che l’autore ha usato, in un momento drammatico della propria vita, destinata a finire di lì a poco, per definire questa raccolta di documenti: “ …non era mia intenzione – allorchè redigevo questi frettolosi appunti – di darli alle stampe così come erano: intendevo piuttosto fissare eventi, particolari, dati, che un giorno avrebbero dovuto servirmi, se il cielo mi avesse concesso una serena vecchiaia, quali elementi per scrivere i ricordi della mia vita. Non costituiscono dunque un libro, ma piuttosto la materia prima con cui il libro avrebbe dovuto più tardi venir composto. Forse in questa scheletricità, nella assoluta mancanza di superfluo è il pregio di questi miei diari…” I nostri lettori si chiederanno, giustamente: perché? Perché una rubrica di letteratura ad un certo punto dovrebbe occuparsi di un diario? La risposta a questa legittima domanda è che, come abbiamo cercato, in maniera il più possibile documentata, di dimostrare sin ora, la letteratura è anche un modo di descrivere la realtà e pertanto non solo coloro che scrivono ma anche tutti coloro che amano leggere inseriscono ciò che leggono in una più ampia visione del mondo che si allarga ogni qual volta vengono inseriti nuovi tasselli. Quindi anche se non siamo rigorosamente in tema letterario ci immergeremo con questo autore nella cronaca del periodo storico compreso tra il 1939 e il 1943. Mentre io scrivo, si assiste al disfacimento di un sistema politico e di potere che solo per una serie di eventi fortunati non è sfociato in una dittatura. Questo sistema di potere e di interessi è stato creato, come negli anni venti, non da un uomo ma intorno ad un uomo. È mia personale convinzione che dietro a questo tipo di personaggi, i dittatori o aspiranti tali tanto per intenderci, ci siano sempre particolari interessi, di gruppi di uomini, in grado di creare il personaggio, sostenerlo nella sua ascesa e servirlo bello e pronto sulla tavola del popolo. Questo meccanismo esiste un po’ dappertutto con una piccola variante tutta italiana: il populismo “reazionario”. Ascoltando i commenti degli esponenti delle attuali opposizioni si può notare come sia ormai quasi completamente scomparsa una espressione che per lungo tempo abbiamo sentito ripetere fino alla nausea : “in nessun altro paese del mondo ( civile) si verificano cose di questo genere”. Nessuno si impegna più in questa osservazione dato che tutti sono ormai consapevoli del fatto che si tratta di una inconfutabile verità: l’Italia è, da sempre, un Paese diverso dagli altri e la lettura del nostro libro-diario lo proverà. Tra le cose che danno connotazione a questa diversità italica rispetto alle altre democrazie c’è anche la mancanza di una morale politica e dei costumi. Ciò a cui oggi assistiamo non è che la conseguenza di questa storica mancanza di morale degli italiani, sulla quale ci soffermeremo per qualche settimana. Ma torniamo al nostro diario nel quale l’autore scrive: “la tragedia dell’Italia ha, per me, avuto inizio nell’agosto del 1939 quando mi trovai di fronte alla fredda, cinica determinazione tedesca di scatenare il conflitto. Non vi era- a mio avviso- nessuna ragione per legarci-vita e morte- alla sorte della Germania nazista…la decisione di stringere l’alleanza fu presa da Mussolini, all’improvviso…”. L’uomo che era stato proclamato dittatore per cambiare in meglio le sorti dell’Italia e degli italiani, era sfuggito di mano a coloro che lo avevano creato e a coloro che avevano creduto in lui e si accingeva a precipitare la Nazione in una catastrofica guerra (noi oggi abbiamo la crisi economica che, fatto salvo il valore delle vite perse in quella carneficina da milioni uomini, donne bambini, non fa meno paura). Ma se ho scelto di proporre queste pagine non è per raccontare di una storia che ormai tutti, almeno si spera, conoscono, e cioè di come si arrivò alla seconda guerra mondiale bensì per cercare di volgere uno sguardo penetrare verso la psiche di un popolo e del suo dittatore. È davvero impressionante osservare come il popolo italiano commetta nella storia errori quasi identici, come la classe imprenditoriale ed industriale fiutando dei vantaggi sul fronte del fisco o della restrizione dei diritti dei lavoratori o in materia di commesse pubbliche appoggi qualcuno al di là della sua moralità, della liberalità delle sue idee e delle eventuali ambizioni dittatoriali a cui i suoi atti politici sono ispirati. Lo stesso vale per la Chiesa alla quale basta lasciar credere che verranno varate leggi restrittive sulle libertà delle persone in campo di ricerca, divorzio, aborto e così via, per riceverne un qualche appoggio o quantomeno un certo grado di tolleranza quando invece la stessa Chiesa dovrebbe pensare che Gesù, pronunciando il famoso: “date a Cesare quel che è di Cesare”, alludeva probabilmente alle leggi degli uomini che spettano allo stato e con il “date a Dio quel che è di Dio” alludeva certamente alle coscienze che, con la forza della “Parola”proveniente dal Signore e dell’ “esempio” proveniente dai Suoi seguaci, dovranno appartenere a Dio. Ma la chiesa ha dimostrato in certi momenti e con certe scelte di non credere abbastanza nè alla forza del Verbo come mezzo per supportare le proprie argomentazioni nelle coscienze delle persone né tantomeno a quell’”exembla traunt” pronunciato dai saggi romani preferendo, molto più pragmaticamente, affidarsi a leggi restrittive proposte non importa da chi, che “vietano”, questo o quello, che “aboliscono” o ancora che “scoraggino” ( il libero progresso della civiltà umana, aggiungeremo noi ). Per meglio comprendere quanto affermo, evitando di cadere in un superficiale giudizio di anticlericalismo nei miei riguardi forse aiuterebbe leggere quanto scritto da R. De Felice nella sua opera intitolata “ Mussolini e il fascismo” vol. II pag 579: ”..un atteggiamento che fa pensare che in Vaticano non si sarebbe vista di malocchio una affermazione fascista non troppo larga, tale da assicurare a Mussolinila continuità del potere ma, al tempo stesso, condizionarla…prima delle votazioni Mussolini sentisse la necessità di fare approvare al consiglio dei ministri una serie di miglioramenti del trattamento economico del clero che si sapeva stare molto a cuore al vaticano…”. La chiesa, soprattutto in un’epoca, la nostra, in cui si hanno puntati addosso, nello stesso istante, gli occhi degli abitanti di tutto il pianeta, dovrebbe stare attenta nella scelta dei propri interlocutori politici anche perché, se è vero che la storia parla del passato, non c’è dubbio che poi faccia riflettere in merito al futuro e, per una Istituzione, come quella ecclesiastica, che mira ad essere “imperitura” questo non è un dato da trascurare. Tornando al nostro autore, ciò che notammo e ci colpì nel leggere il primo canto dell’opera di Virgilio ci colpisce anche qui, nelle primissime righe del diario, perché anche qui vi è contenuto l’angoscioso preludio alla catastrofe. Lo si respira nell’aria scorrendo quelle pagine, lo si avverte come un cupo presentimento: proprio quella spensierata giovialità dei protagonisti, allora come oggi, quell’incosciente e quasi infantile giocare con cose troppo più grandi di loro lascia presagire la drammatica fine. Per la loro crudezza voglio proporre ai lettori integralmente alcuni passi delle prime pagine del diario: “ 1 GENNAIO- il Duce è tornato a Roma ier sera ed abbiamo un lungo colloquio. Parla della situazione con la Santa Sede. Vede nell’opera svolta dall’Azione Cattolica un tentativo di costituire un vero e proprio partito politico, che, prevedendo ore difficili per il fascismo, vuole essere pronto a raccoglierne la successione. Difende Starace: quando egli fa, lo fa su ordine esplicito del Duce. Respinge la proposta del Nunzio di fare qualche cosa per celebrare il decennale della Conciliazione. Infine mi comunica la decisione di accogliere la decisione di Ribbentrop di trasformare in patto l’alleanza anticomintern. Vuole che la firma abbia luogo nella ultima decade di gennaio. Considera sempre più inevitabile lo scontro con le democrazie occidentali e vuole pertanto predisporre lo schieramento. In questo mese intende preparare l’opinione pubblica, “della quale, però, se ne frega””. Se l’intelligenza è quella capacità tutta umana di creare dei nessi questo primo giorno del gennaio del 1939 pare proprio la parodia dei nostri giorni. E invece è la storia del nostro amato Paese anche se gli attori della triste commedia sono sempre gli stessi: un uomo mediocre, il dittatore, che gioca a fare la storia; la Chiesa che è lì sempre pronta ad afferrare il pasto che scivola dalle mani del padrone, al quale intanto fa le fusa; il popolo: povero, misero, inconsapevolmente umiliato e condannato a patire, a causa della propria ignoranza immani disgrazie, cieco e sordo fino alla fine. Ma continuiamo con la lettura del diario: “ 19 genn- arrivo a Belje. Caccia alla lepre. Nel ritorno in treno parliamo con Stoiadinovic. Abbordo la questione albanese. In un primo momento Stoiadinovic sembra offuscarsi, poi si scioglie il ghiaccio e parla della soluzione della divisione dell’ Albania come della migliore. 20 genn- caccia in foresta. Buone notizie dalla Spagna. Stoiadinovic le riceve gridando “corsica, Tunisi,Nizza”. 21 genn- ultima caccia a Belje…22 gennaio – Belgrado. Caccia e lungo colloquio col reggente…23 gennaio – viaggio di ritorno a Roma. Molte manifestazioni alle stazioni…24 Gennaio – la mattina vado a Villa Torlonia, ove riferisco al Duce sull’andamento e sui risultati del mio viaggio. Ne è molto soddisfatto…mi mette al corrente di quanto è avvenuto durante la mia assenza. Niente di importante, tranne che ha avuto luogo la prima esecuzione di una donna. Molti si opponevano a che la condanna avesse corso, pensando alle reazioni popolari. Il Duce invece l’à voluta convinto che la massa avrebbe approvato, ed in realtà, mentre la esecuzione di un uomo è passata sotto silenzio, quella della donna è stata salutata da applausi…” Leggendo queste righe mi viene in mente quanto mi è stato detto qualche giorno fa da un mio amico, prima militante in Forza Italia ora “fillino”: “se andiamo alle elezioni Berlusconi stravince”. Detta così, oggi, questa frase farebbe sorridere molti ma guardando al passato forse ci sarebbe da riflettere più che sorridere. Personalmente credo nelle leggi della genetica e all’estrinsecazione di in fenotipo anche psicologico oltre che somatico, ed è innegabile che i geni di quella gente che applaudiva alle esecuzioni, nelle stazioni al passaggio di fascisti e nazisti, e sotto i balconi mentre venivano annunciate le guerre, sono stati tramandati ai loro discendenti. Ed è anche fuori discussione che i geni di coloro che furono, tremanti come conigli preparati per il macello, sull’Aventino, sono stati ugualmente tramandati. Ogni qual volta che Bersani parla io istintivamente mi preoccupo e lo faccio proprio perché il Segretario del PD dice delle cose molto sagge, da primo della classe, del tipo: ”la riforma fiscale la potremmo fare noi” oppure “i conti non tornano e toccherà a noi metterli a posto” e via dicendo. È troppo fresco e vivo, purtroppo, nella memoria di tutti ciò che è avvenuto l’ultima volta che il centro sinistra ha vinto: non hanno trovato di meglio da fare che mettere a posto i famosi conti dimenticando che se volessimo farci governare da ragionieri sapremmo noi stessi trovarne di migliori rispetto a quelli che essi ci proposero allora. Ma mi permetto di ricordare che la politica è un’altra cosa e dovrebbe occuparsi dei principi dei valori e dei meccanismi da cui poi possa scaturire anche, naturalmente, una oculata gestione dell’economia dello Stato. Senza quei principi e quei valori a base di ogni legge e ogni norma non vi sarà mai neanche giustizia ed equilibrio in campo economico e sarà sempre come riempire un tino pieno di buchi: l’acqua non basterà mai. Tanto per fare qualche esempio di meccanismi che andrebbero aggiustati prima di “mettere mano ai conti” diciamo che si potrebbe provare a limitare il potere politico di gruppi finanziari con una buona legge sul conflitto d’interesse; mettere l’elettorato in condizione di scegliere gli amministratori più capaci e non quelli più corrotti o affiliati con una dignitosa legge elettorale; rivedere in alcuni punti l’impianto normativo che regola le assegnazioni delle grandi opere pubbliche ( dove si perdono fiumi di denaro); fare una riforma fiscale nel senso di sgravare la maggior parte dei cittadini da un carico fiscale ingiustificato e non aggiungere nuove tasse, in nome della ragion di stato, alla maniera dei ragionieri di sinistra; regolamentare e rendere più semplice l’accesso al credito in modo da consentire una crescita delle imprese; rendere efficienti le norme antiusura a tutto vantaggio di una economia sana anche quando l’usura fosse praticata in modo diretto o mistificato da istituti di credito o gruppi finanziari riconosciuti; combattere la malavita organizzata che divora montagne di soldi pubblici; contrastare il “clientelismo di stato” praticato da quasi tutti i politici e sostenuto con danaro pubblico; rendere compatibile il costo della manodopera con i bilanci delle imprese; riformare lo stato sociale, che esiste ormai solo sulla carta, riformare la giustizia e, chi più ne ha più ne metta. Invece, l’ultimo governo Prodi, ha esordito con un aumento indiscriminato, anche se più che giustificato, delle tasse e con un bel condono, imposto con dei ricatti che non dovrebbero essere stati mai accettati, per alleggerire le carceri di personaggi con amicizie importanti. In fisica esiste un postulato per la costruzione di una macchina perfetta che una volta avviata non dovrebbe mai fermarsi: il ciclo di Carnot. La sinistra di oggi è riuscita a mettere a punto un congegno tanto efficace da assomigliare a quello descritto per il ciclo di Carnot: Berlusconi vuota le casse dello Stato facendosi un sacco di amici e clienti. Quando i soldi finiscono la sinistra va al governo e, da primi della classe, pensano subito a mettere a posto l’economia spremendo la gente che, secondo la loro teoria populista ( nell’accezione classica questa volta), deve pagare e stare zitta nell’interesse superiore dello Stato. Subito dopo, ma non prima di avere approvato le leggicine sanguisughe ( gabelle se le vogliamo chiamare col proprio nome), qualcuno dei primi della classe scontento perché non riesce ad apparire il primo dei primi della classe, aiutato da qualche amico degli amici, fa cadere il governo e alle elezioni, dopo la lezione, chi vuoi che si sogni di rivotare coloro che hanno flagellato il popolo di tasse e quindi riecco Berlusconi, o chi per lui, pronto a rigovernare con risorse fresche e, perché no, con qualche tesoretto da parte, fino a quando le risorse si esauriscono e si fa ricorso nuovamente ai primi della classe per ricominciare il ciclo.
“26 Gennaio - …mentre ero al golf è giunta la notizia della presa di Barcellona. L’ho fatta pervenire al Duce, al Terminillo, ed “ò” (ricopio il testo tal quale è stato scritto) concertato con Starace le manifestazioni in tutta Italia. È bastato fissare l’ora: non c’è stato bisogno di pressione alcuna perché il popolo ha gioito di questo evento con profonda sincerità.” Stavamo per regalare un dittatore anche alla Spagna! I due passi che ho selezionato, ritenendoli fondamentali a tratteggiare la psiche di un popolo e del proprio dittatore, vorrebbero mostrare, in modo raccapricciante, quale tipo di politici hanno governato la nostra Nazione e, allora come oggi, con quanta grettezza, superficialità, leggerezza e noncuranza questi signori hanno gestito il potere che un popolo in buona fede gli aveva e gli ha conferito: “27 Gennaio – il Duce ha convocato in mia presenza il ministro di Grecia. Da un rapporto di Bucarest è risultato che l’Add. Militare greco aveva usato termini ingiuriosi verso il nostro esercito, in un colloquio col collega ungherese. Il povero Ministro di Grecia tremava verga a verga quando Mussolini, con la faccia di una durezza metallica, gli ha detto che se entro tre giorni non ci sarà data piena soddisfazione, vi saranno complicazioni gravi. È sua intenzione consegnare i passaporti al Ministro, il quale, in tanta burrasca, non ha trovato nient’altro da dire se non congratularsi per la…presa di Barcellona.” “30 Gennaio 1939 – il ministro di Grecia ha portato la risposta del suo governo: è inginocchia tura in piena regola, fatta in termini tali che non lasciano il minimo dubbio sulla paura che gli elleni nutrono nei nostri riguardi…il Duce tutto preso…dalla preparazione della milizia per la parata del 1 febbraio. Cura di persona ogni più piccolo particolare. Passa delle intere mezzore alla finestra del suo ufficio, nascosto dietro la tendina azzurra, ad occhieggiare il movimento dei reparti. Ha voluto lui che tamburi e trombe fossero sempre contemporanei. Ha istituito il bastone del capo banda, e personalmente insegna il movimento che deve venire fatto e corregge le proporzioni e la foggia del bastone stesso…” Tutto questo non sarebbe apparso così grave se non fossimo stati costretti a ricordare quante vite e quante umiliazioni e stenti la Nazione Italiana fu costretta a sopportare come conseguenze della campagna di Grecia e delle altre campagne che seguirono durante la seconda guerra mondiale.

Antonio Salerno



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