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Caligola

2/10/2011

“Se i tuoi occhi di miele mi fosse lecito baciare,
migliaia di volte io li bacerei
e non potresti esserne mai sazia,
anche se più fitta di spighe mature
fosse la messe dei mie baci”
La stampa straniera ha ricordato a noi italiani, attraverso la satira, alcuni dei nostri grandi autori latini ed in particolare Svetonio. Certo, ci ha purtroppo anche ricordato che in questa terra i pazzi si sono susseguiti al potere in maniera quasi inspiegabile. Noi potremmo ricordare alla stampa straniera la fine toccata a questi personaggi per mano di un popolo, quello italiano, romano o latino che si voglia, mite ma anche determinato e audace al momento opportuno. Dal momento però, che tali analogie sono saltate fuori e coerentemente all’importanza che noi attribuiamo alla capacità di creare dei nessi, addentriamoci pure nella storia del terzo imperatore di Roma narrata da Svetonio al fine di conoscerla meglio. Come tutte le biografie che si rispettino anche questa inizia con un accenno a coloro che generarono il principe. Quello del padre di Caio Cesare (Caligola) è un caso del tutto particolare. Germanico, questo era il suo nome, pur essendo un concentrato di tutte le umane virtù: fisiche, mentali e morali, e si fosse rivelato un grande generale, adorato dagli amici e rispettato dai nemici, si trova a dovere, paradossalmente, la sua fama a suo figlio Caio il quale incarna invece l’esatto contrario delle qualità paterne. Sono queste le stranezze della storia che in certi casi riconosce di sponda ai grandi uomini i loro meriti.
Quanto a Caio, questi sin da giovane dimostrò in privato la sua vera natura, al punto che Tiberio così la descrisse in modo lucido e lapidario: “ Caio vive per la propria rovina e per quella di tutti gli altri: io sto allevando in lui una serpe per il popolo romano e un Fetonte per l’universo”. Quando ai giorni d’oggi si parla del valore della virtù non si dovrebbe mai trascurare di pensare che questa altro non è se non l’espressione della natura dello spirito. E quanto aveva ragione Tiberio, se si pensa che, stando a Svetonio, con la complicità di una donna da lui conquistata lo stesso Caio, dopo aver fatto avvelenare il proprio padre adottivo ( lo stesso Tiberio), prima che questi esalasse il suo ultimo respiro lo soffocò con un cuscino sulla faccia serrandogli la gola con le proprie mani. Questa fu la fine di Tiberio e anche il modo in cui Caligola si impadronì del potere. Proprio qui, nel XIII capitolo del libro quarto della vita dei Cesari, l’autore dice una cosa che rende le analogie della stampa estera tristemente coerenti: “ impadronitosi in questo modo del potere, colmò i voti del popolo romano, e anzi dell’intero genere umano, perché era veramente il principe sognato dalla maggior parte dei provinciali e dei soldati e della plebe urbana tutta”. Anche in quella occasione non si tenne conto delle qualità morali dell’uomo che si andava a porre a capo di un popolo e, continua Svetonio: “seguendo il funerale di Tiberio, benchè fosse (Caio) in abito da lutto, una folla immensa e festosa gli venne incontro chiamandolo, oltre che con nomi di buon augurio, stella, pulcino, pupo e bambino (appellativi certamente calzanti anche nel nostro caso contemporaneo). Appena entrato il Senato, d’accordo col popolo che aveva invaso la Curia, gli riconobbe immediatamente la totalità del potere”. Come possiamo notare, la voglia di padrone del popolo italiano, ha origini antiche e nefaste. Ma continuiamo questa interessante lettura sui comportamenti dei nostri avi: “ la gioia del popolo fu così grande che furono sacrificate sugli altari più di centosettantamila vittime in tre mesi. Quando cadde ammalato, tutti i cittadini passarono la notte intorno al palazzo, e non mancò chi, per la sua guarigione fece voti di combattere come gladiatore, e nemmeno chi, mettendolo pubblicamente per iscritto, offrì la propria vita in cambio della sua. In aggiunta a questo immenso amore dei cittadini, anche gli stranieri ( come al solito) mandarono delle notevoli testimonianze di simpatia…(Caio) non trascurando nessuna maniera di rendersi popolare, infiammava l’animo di tutti”. Se omettessimo i nomi non sembrerebbe affatto una storia di duemila ani fa bensì la storia italiana degli ultimi quindici anni. Purtroppo le analogie più grandi si potranno riscontrare nel governo della nazione. Tali analogie raggiungono quasi l’incredibile quando Svetonio racconta di un sacrificio annuo con tanto di giochi istituito dal giovane imperatore in onore della madre : a onor del vero crediamo non si trattasse proprio di un trofeo calcistico ma il concetto rimane lo stesso. Le pagine che seguono l’ascesa al potere di Caio Cesare sono un vero capolavoro di cronaca moderna: “ fece portare nel foro tutti gli incartamenti processuali di sua madre e dei suoi fratelli e li bruciò; rifiutò di ricevere una lettera di denuncia che riguardava la propria vita , dicendo: non ho fatto niente per cui qualcuno mi possa odiare; fece la revisione dei ruoli dei cavalieri romani con rigorosa attenzione, ma non senza moderazione, perché vennero pubblicamente privati del cavallo coloro che erano stati condannati per ignominia, o che erano stati marchiati di obbrobrio; ma per i colpevoli di fatti di minor conto si accontentò di saltarne il nome nel leggerne l’elenco”. Il resoconto è davvero interessante e se ne consiglia a tutti la lettura integrale. Si aggiunga però, che Caligola fece costruire persino un ponte, non proprio come quello sullo stretto di Messina, ma lungo seimila e trecento passi sul quale camminò, a cavallo, per due giorni. Tutto questo rientra però in una più o meno normale gestione del potere. È al capitolo XXI che l’autore fa una precisazione a dir poco sconcertante dicendo: “ fino ad ora abbiamo parlato di un principe; ma da ora dobbiamo parlare di un mostro”. A questo ponto finiscono anche le nostre simpatiche analogie e quello che seguirà sarà una generica riflessione su ciò che dal principio noi abbiamo sempre considerato come il vero nemico della società: la dittatura. Proprio il capitolo XXII offre una frase di Caligola che esprime questo concetto: ” avendo sentito alcuni re, che erano venuti a rendergli omaggio, Caio esclamò: dev’esserci un solo capo, un solo re”.
E come dargli torto se il popolo tutto altro non aspettava che questo per scaricarsi di ogni responsabilità. Abbiamo tristemente assistito anche noi a qualcosa di simile nel corso della storia recente con il ventennio prima e col berlusconismo poi, ed ora siamo qui a rispondere delle scelte fatte. Avuti i pieni poteri, Caligola si lasciò subito andare alla turpitudine dei sensi: “non ebbe alcun rispetto nè per il proprio pudore né per quello altrui”. I capitoli che seguono consistono in una splendida rappresentazione del libero arbitrio. La depravazione, lo spregio per la libertà e per la dignità degli uomini. La negazione dei più elementari diritti, caratterizzeranno la vita di questo personaggio e verranno rappresentati dallo storico latino con una serie di aneddoti esemplificativi. Al di là dell’attendibilità storica degli eventi narrati quanto riportato da Svetonio rimane importante perchè dipinge un quadro chiaro di una personalità dispotica e capricciosa, incapace di servire il popolo che ne diviene anzi la vittima preferita. La storia di questo imperatore corrotto e depravato, che usava ogni sorta di violenza nei confronti del proprio popolo dovrebbe far riflettere sull’opportunità di consegnare il potere nelle mani di coloro che ne sono indegni. Una volta ottenuto il potere costoro si autoconvincono della propria superiorità rispetto al resto dell’umanità e quindi non accetteranno mai un avvicendamento alla carica che ricoprono. Caligola torturò il popolo, dissipò e sperperò le risorse dello stato. Non seppe condurre Roma su nessuna strada di progresso e di crescita limitandosi a gestire il potere per il proprio compiacimento. L’unica battaglia che vinse fu quella, farsesca, che fece combattere all’esercito contro l’oceano. Quest’uomo, amante degli spettacolini, cinico e corrotto, libidinoso e depravato amante di donnette da postribolo, dopo aver quasi rovinato Roma e i romani doveva fare i conti col suo popolo. Ma ricorriamo ancora alla fonte per scoprire come la grande Roma volle porre fine al dispotismo di questo Cesare: “ comportandosi Caligola in modo così stravagante e criminale, parecchi pensarono di ucciderlo; ma dopo che una o due congiure erano state scoperte due cittadini si misero d’accordo per portare a buon fine l’impresa, non senza la complicità di alcuni liberti molto potenti e dei due prefetti del pretorio, che si erano visti denunciare anche loro come complici di un’altra congiura, benchè innocenti, e che quindi si sentivano sospetti e invisi”. È opportuno ripetere ancora una volta che non si tratta della cronaca dei nostri giorni ma del testo di uno storico latino vissuto nel primo secolo dopo la morte di Cristo. “molti prodigi annunziarono la sua morte: una statua di Giove si mise a ridere così forte che gli operai fuggirono terrorizzati. Il Campidoglio di Capua fu colpito dal fulmine nel giorno delle Idi di Marzo. A Roma fu colpita la cappella di Apollo Palatino, guardiano dell’atrio”. Anche oggi non mancano i presagi, se si pensa alla situazione in cui versano le famiglie, l’economia, la scuola, l’occupazione e lo stato sociale, la giustizia e la stessa democrazia. Sono questi presagi che meglio dei fulmini o delle statue dovrebbero fare auspicare un cambiamento. Oggi la persona umana è giustamente sacra e per liberarsi di personaggi come Caligola basta di solito un chiaro risultato elettorale o una sfiducia parlamentare. Ma non è così semplice arrivare a far capire alla gente le responsabilità di una classe politica in una tragedia quale quella che stiamo vivendo soprattutto se, all’ignoranza di tanti si aggiunge una propaganda di regime incessante ed assordante. Come avvenne per Mussolini, solo la fame, e non la mancanza di libertà, porterà il popolo di Caligola a voler voltare pagina: almeno si spera. Caio Cesare fu ucciso il nono giorno prima delle calende di Febbraio, verso l’ora settima. “ i congiurati non avevano scelto nessuno a cui affidare l’impero. Il Senato era totalmente unanime nel voler ripristinare la libertà…”. Romano Prodi diceva questa mattina che i popoli hanno bisogno di politici e di politica, di uomini che sappiano comandare. Condividiamo questo principio anche se risulta difficilmente adottabile in uno Stato come il nostro dove questi uomini non vengono adeguatamente selezionati, preparati e formati a tale compito e paradossalmente, cosa ancor più grave, non vengono neanche più liberamente scelti dal popolo. In uno Stato in cui un politico può minacciare i suoi avversari e usare la propria posizione per operare vendette. In un Paese dove la libertà di stampa e di espressione viene continuamente attentata. A popoli che hanno rinunciato ufficialmente alla moralità, così alti principi sono davvero difficilmente applicabili. Per questo abbiamo voluto iniziare il nostro articolo con i versi di Catullo, un poeta che rinunciò ad ogni riferimento politico nella sua arte, cercando la perfezione nell’estetica e nei sentimenti alti. In attesa che l’ondata di fetidume politico che giornalmente ammorba i nostri sensi sia passata, applichiamo l’arte pura alle nostre narici e cerchiamo di sopravvivere, un giorno in più, senza affogare in un mare di …
Antonio Salerno



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