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Il canto del SUD

11/09/2011

“la sera dice: - ho sete d’ombra! –
Dice la luna: - e io di stelle -.
La fonte cristallina chiede labbra,
e sospiri il vento.”
Così il poeta cantava il suo inno alla libertà. Così le cose del creato si dissetano di ciò che bramano. Ma cosa brama il Sud? Di quale rimedio abbisogna il grande malato? Forse proprio della libertà! E dei suoi esuli che l’innalzino al cielo come valore supremo, impalpabile alito di vita, essenza dell’esistenza umana. Ogni epoca, ogni terra ha bisogno dei suoi eroi e il poeta è l’eroe supremo in ogni epoca e in ogni luogo della terra. Ma dove sono andati a finire i nostri spiriti elevati? In esilio di certo! Dispersi per le ampie distese del pianeta a soffrire lontano per la loro terra e per la loro gente che ogni giorno vede peggiorare la propria condizione sul tetro letto di morte. L’eroina delle nostre contrade così diffondeva il suo lamento:
“ d’un alto monte onde si scorge il mare
Miro sovente io, tua figlia Isabella,
s’alcun legno spalmato in quello appare,
che di te, padre, a me doni novella.
Ma la mia adversa e dispietata stella
Non vuol ch’alcun conforto possa entrare
Nel tristo cor, ma di pietà rubella,
la calda speme fa mutare.
Ch’io non veggo nel mar remo né vela
(così deserto è l’infelice lito)
Che l’onde fenda o che la gonfi il vento.
Contra fortuna alor spargo querela,
ch’ho in odio il denigrato sito,
come sola cagion del mio tormento”.
Questo inno alla desolazione, all’isolamento di chi attende e nulla può per mutare il corso degli eventi, è una tragica fotografia del nostro Sud. Quel legno che conduce la libertà, invano atteso, e che mai all’orizonte appare. Percorrendo le lunghissime strade che costeggiano lo Ionio e si addentrano sempre di più il Calabria di avverte via via la sensazione di isolamento di quei luoghi, l’assenza dello Stato. Un’atmosfera pesante impregna l’aria: una natura selvaggia stringe le bellissime spiagge in una morsa. Case modeste, di altri tempi sono distese a formare un corridoio di mura che sembra avere lo scopo di limitare la vista per nascondere ciò che sta dietro. Eppure basta scendere e parlare con la gente per trovare cortesia, ospitalità, bontà d’animo. Ma allora cosa manca a questo Sud? Quella libertà che Federico Garcìa Lorca pagò con la propria vita. Che tanti uomini e donne del Sud hanno cercato di conquistare invano, pagando un prezzo altissimo. Che milioni di talenti, di lavoratori, di studenti conquistano salendo i gradini di quel treno dal nome così significativo: la freccia del Sud. Sembrerebbe essere stato creato per scappare via lontano il più in fretta possibile, lasciando una parte della propria anima sulla collina di Isabella Morra ad aspettare che le cose cambino per tornare felici, a vele spiegate ai propri lidi. L’altro giorno attraversavo le vie di Sant’arcangelo nella parte più alta e più antica del paese: la bellezza di quei vicoli che si snodano tra palazzi ottocenteschi con scale esterne costruite in pietra levigata dal tempo e dagli uomini; i porticati dalle volte in mattoni; le fontanelle pubbliche ai crocevia; le alte mura, la cui pietra viva riveste le facciate, che accolgono come ali spiegale, convogliandola nelle stradine di selica, la brezza leggera che dona frescura e benessere alle anziane comare sedute sui gradini delle abitazioni o sulle seggiole impagliate, anche nelle ore più calde del giorno. Tutto questo mi ha profondamente commosso. Quei volti bruni, barbuti, segnati dal lavoro raccontano di una gente, la nostra, piena di forza, di coraggio, di vigore fisico e morale pronti a sfidare le avversità che giungono da una natura avara, dal mondo che cambia, dalla fragilità della stessa natura umana: ma allora cosa manca a questo Sud? La libertà, sempre e solo la libertà! Questi popoli sono soggiogati da secoli da una classe di uomini che li tiene costretti ad elemosinare tutto ciò che gli spetterebbe per diritto. In passato tale asservimento era sia materiale che culturale. Oggi con l’accesso di massa all’istruzione vi è stata una forma di riscatto intellettuale ma nulla è cambiato nella sostanza visto che deliberatamente lo sviluppo economico e sociale viene tenuto legato al palo: non un posto di lavoro, non una licenza, non un mandato o un sussidio viene dato in quanto spetta di diritto, ma sempre come la concessione di una mano generosa e potente che dispensa il pane ai poveri. La malavita organizzata e la mala politica sono come una scala di grigi aventi in comune la stessa radice che affonda nel terreno della paura e della miseria morale e materiale, ingrossando lo stesso, terribile frutto: la privazione della libertà. A questo Sud manca il coraggio di spezzare le catene che lo costringono a rimanere agonizzante in uno stato di arretratezza e di dolore: i figli di questa terra sono in parte destinati a divenire carne da cannone nelle mani della criminalità, altri invece conoscono la triste realtà delle privazioni. È una guerra vera e propria tra chi vuole tenere questa splendida gente al giogo, ben consapevole che in una economia forte, autonoma, in grado di auto sostentarsi nessuno più andrebbe ad elemosinare nulla di ciò che gli spetta, e chi si vede negato ogni giorno i propri diritti di uomo e di cittadino e per cambiare deve trovare il coraggio di non abbassare più lo sguardo per paura di vendette o rivalse verso se stesso e i propri familiari. Spetta ai poeti accettare il duro incarico di generali, in questa guerra, perché solo essi possono portare nei cuori l’idea della libertà. Che non si nascondano nelle lussuose stanze delle alcove in cui gli usurpatori li drogano con agi e privilegi! Che non abbandonino il popolo, fuggendo lontano e perdendosi in altre realtà perché quelle braccia forti, quei cuori nobili, quelle madri premurose ed appassionate con lo sguardo fermo e senza paura, abituate a combattere contro avversità di ogni tipo, hanno bisogno di una guida per poter finalmente riuscire a costruire il proprio futuro e quello dei propri figli. Per riuscire ad edificare un mondo così come essi lo desiderano e lo sognano senza piegarsi, come i mendicanti nella casa di Ulisse, a contendersi con i cani gli avanzi di cibo che i nobili pretendenti lasciavano cadere sotto la grande tavola.
Antonio Salerno



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