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Intervista a Salvatore Verde,poliedrica figura del panorama culturale lucano e non solo

2/03/2022

Una personalità come quella di Salvatore Verde, ricca, tenera, delicata, garbata vivida e al contempo determinata, assertiva, inconfutabile, come una statua dell’antichità, è cosa rara da incontrare.
Ho avuto il piacere più volte di poter conversare con lui e di ascoltarlo durante alcune sui interventi presso manifestazioni e kermesse. Un Maestro non solo nel senso reale del termine ma anche in quello traslato. Maestro, si dice, è tale e colui che per conoscenza, sapere e arte ha una comprensione del mondo e dell’uomo che entra in una sorta di sufismo, in una sfera cioè legata alla saggezza.
Giornalista pubblicista, ha collaborato con “La Gazzetta del Mezzogiorno” e con diverse altre testate ed è stato consigliere del CdA della Fondazione Lucana Film Commission.
Nell’intervista che segue Salvatore Verde ci parla del suo ultimo libro " La congregazione dell’oratorio di San Filippo Neri ( XVII-XIX Secolo di Tursi)", pubblicato da Graficom Edizioni.


Qual è l'origine di un fermento personale e culturale così ampio?
Insegnare nella scuola dell’Infanzia è stata l’attività più importante della mia vita. L’ho fatto per un quarantennio, in modo assai dignitoso, che significa rispettare e amare i bambini e saper crescere con loro, con la fiducia e l’ottimismo che devono contraddistinguere tutti gli educatori. Questo implica il valore del sapere, l’assunzione di responsabilità e il dono della chiarezza, dovendo guardare lontano, mentre, al contempo, abbiamo cura del presente. Scrivere mi ha aiutato ad affinare il metodo, il rigore e la sintesi della narrazione, in fondo si vive anche per raccontarci, ma tale passione stringente è arrivata soltanto dopo anni di studi irregolari, dopo aver consolidato le scelte familiari e lavorative al Nord e dopo un periodo di impegno sindacale e politico in Basilicata. Tuttavia, coltivando sempre la passione per il cinema, all’origine delle mie ineludibili domande e risposte esistenziali, stimolando su tutto il bisogno necessario di sognare. La stabilizzazione e l’avanzare dell’età, con l’orizzonte ormai curvato, mi hanno indotto con immutata curiosità verso un percorso a ritroso, come un itinerario dal generale al particolare, nello scavo delle radici. In fondo tutta l’esistenza è un eterno ritorno e ciò che conta davvero non è tanto il raggiungimento della meta, quanto il viaggio e soprattutto la traccia che lasceremo del nostro passaggio, avendo sempre la consapevolezza di contribuire in qualche modo alla salvezza del pianeta e al miglioramento dell’umanità, sia pure in forma infinitesimale. E tutto questo lo sento con gioia e sofferenza, come un dovere e una forza, una risorsa e una ricerca interiore.

Come ha assecondato e armonizzato, queste molteplici attitudini?
Il fiume va sempre verso il mare e il destino è sovente determinante, ma non ce ne accorgiamo. La scuola è stata sicurezza, crescita e libertà. L’audiovisivo la raffinatezza dello sguardo che è oltre il vedere. Passato e futuro hanno per me lo stesso fascino, con il potere dalla fascinazione nel raccontare storie di vita, anche di donne e uomini senza storia, dal quotidiano al mistero. Da qui il culto per i morti, ispirandomi a Henry James e Francois Truffaut, e della memoria, non nostalgica, oltre all’amore incondizionato per i libri e l’attaccamento all’amato paese. Noi siamo il paesaggio e l’ambiente in cui viviamo, perciò, in modo direi spontaneo e naturale, ho sentito sempre più di dover restituire in qualche modo quanto mi è stato dato. Chi ha da dare deve dare, nei modi possibili. Il talento può essere ovunque, ma molti non lo riconoscono. Non conta vincere, nella vita è fondamentale continuare a lottare, sempre.

Il suo ultimo libro è una ricerca storica che svela molte inaspettate angolazioni su Tursi. Ci parla di questo libro e di come nasce?
Nella mia visione “pedagogica”, storia e fantascienza si incrociano nel contributo fondamentale che danno alla riflessione sul presente. Raccontare da anni altre storie di Tursi, è stato un diverso modo di leggere anche le umane vicende contemporanee, soprattutto quando ci si imbatte nella normale ma sofferta perdita della memoria collettiva, con uno scadimento della stessa identità. “La congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Tursi”, dal 1652 al 1867, è una ulteriore prova del lavoro utile e necessario di scavo, perché tra l’altro e sorprendentemente ci dice molto relativo allo scontro di potere tra Chiesa locale e potentati familiari, al ruolo degli intellettuali, al decadimento del ruolo della diocesi e di Tursi, alla credibilità di notizie assurde. Insomma, occorre guardare alle cose di sempre con occhi nuovi, senza pregiudizi e senza forzature moderniste. Ritengo di aver operato nella scia dei due storici tursitani, Antonio Nigro (1764-1854) e Rocco Bruno (1939-2009), però seguendo una personale impostazione più disincantata, grazie agli inediti contributi imprescindibili delle due studiose Rosanna D’Angella e Ambra Piccirillo, alle quali devo moltissimo.

Un salto dal passato al presente " La congregazione dell’oratorio di San Filippo Neri ( XVII-XIX Secolo di Tursi)". Quanto è importante il dialogo tra generazioni per trasferire "la memoria" delle proprie origini e non solo?
L’amato Presidente Sandro Pertini diceva che i giovani hanno bisogno non tanto di parole ma di testimonianze. Io ho vissuto in una famiglia umile e assai numerosa e in un quartiere popolare. Nel mutare delle stagioni della vita e dei tempi si impara da tutti, ma fingiamo di non crederci Occorre non smarrirsi, trovando nello studio e nella cultura le risposte giuste e i sentimenti di fratellanza universale, mantenendo costantemente l’ancoraggio ai grandi valori del dialogo e del confronto, riconoscendo il merito e i bisogni di tutti e di ciascuno, consapevoli dei diritti e dei doveri. La vita è un dono e una magnifica avventura, ognuno deve fare la sua parte, senza abdicare ai propri ruoli. Poi, come diceva il grande Vittorio Gassman, un bravo attore, si apprezza quando lascia la scena, non quando entra. Si, siamo tutti uguali ma diversi, non il contrario. La vita passa fatalmente, ma non tutto si perde, qualcosa resta, raramente per sempre.

Roberta La Guardia



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