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Intervista a Raffaele Carlomagno sul libro di raccolta di poesie 'Mënërigghjë'

10/08/2021

“Si che quando un vecchio muore un´intera biblioteca va in fumo; quello che io intendo fare è conservarne almeno i mënërigghjë”. Il libro Mënërigghjë – Frammenti di un borgo interiore” scritto dall´autore nojese Raffaele Carlomagno, è un viaggio attraverso il dialetto, e sta ad indicare, proprio con questa raccolta di poesie, l´atto del riunire insieme, attraverso il ricordo, le ultime briciole di un dialetto, quello nojese, prima che vengano gettate nell´angolo della dimenticanza.
L´autore Raffaele Carlomagno, classe 1979, nato a Lagonegro (PZ), si è laureato in Filosofia ed è docente presso un liceo romano. Il suo amore verso la sua terra, in particolare verso il suo paese d´origine, Noepoli , è parte fondamentale del libro.

Com´è nata l´idea di scrivere un libro dedicato al dialetto nojese attraverso delle poesie?
Queste poesie nascono da un grande bisogno di legame con le radici che si è andato accentuando in me in un momento particolare della mia vita quando per motivi di studio stavo lontano dalla mia terra, avvertendo una forte nostalgia. Questa specie di “sofferenza del ritorno in patria” si è tradotta in versi in maniera quasi spontanea, parlando spesso degli archetipi fondamentali che costituiscono il comune sentire della mia terra, quello che il filosofo Kant chiamerebbe “Gemeinsinn”.

“Mënërigghjë” significa frammenti, insignificanze, rimanenze; in questo libro ci sono poesie sia nel dialetto nojese che tradotti in italiano. Perché proprio questo titolo per il tuo libro?
Il titolo mi è venuto in mente in una notte, anche perché lavoro sempre di notte in quanto essa rende più concentrato il pensiero e il ricordo. Inizialmente avevo pensato in un titolo unicamente in italiano, però pensavo che avrei fatto un torto al dialetto, e dal momento che le poesie erano in dialetto con la traduzione in italiano, volevo che anche il titolo fosse in dialetto con il sottotitolo in italiano. Mi sono chiesto come faccio a tradurre “Frammenti di un borgo interiore” in dialetto? Allora mi è venuto in mente questa parola molto antica, quasi caduta nel dimenticatoio, “rimanenze”, dunque “mënërigghjë”. Questa parola risultava molto più calzante rispetto a quello che volevo comunicare, cioè raccogliere gli ultimi frammenti delle nostre tradizioni, usi e ricordi degli anziani, prima che venissero gettati via per sempre nel dimenticatoio. Quindi, ho pensato di metterle di nuovo sul banchetto comune della comunità di Noepoli. La parola “mënërigghjë” significa “rimanenze”, “insignificanze”, non perché si è insignificante quello che scrivo, ma perché vuole essere un titolo provocatorio. Di fatto ciò che sembra insignificante per le generazioni future, lo è ancora, perché penso che questi frammenti del passato abbiano ancora molto da dirci.

Ci sono parti dedicate a degli storici protagonisti ormai defunti che sono stati dei punti di riferimento per te nell´infanzia. Com´è nato questo interesse nello scoprire i frammenti raccontati da questi protagonisti della tua infanzia?
Quando ero piccolo avevo un grande amore per gli anziani, anche perché sono nato e vissuto nel centro storico e gli anziani vivevano lì accanto ed intorno a me. Spesso li andavo a trovare e avevo spesso la consapevolezza che avrei dovuto raccogliere i loro racconti e le loro storie di vita. Grazie anche ai loro racconti di vita da contadini, ho scoperto una saggezza attraverso questi racconti, e questa non doveva andare perduta. Quindi, i protagonisti del mio libro e delle mie poesie sono soprattutto i morti, perché questi hanno un grande valore. Continuo a portarli nella mia mente e nel mio cuore, continuano a parlarmi. Mi faccio visitare da loro attraverso il “ricordare”, perché mi fa bene e ciò non è un ricordare nostalgico, dato che sono stato a stretto contatto con loro. Quindi, avverto l´esigenza di farlo conoscere, perché emerga dai miei scritti la loro saggezza e le loro vite spesso vissute nel buio di un vicolo semi abbandonato, tra le ceneri di un focolare ormai morto. Dunque, voglio vivificare questo fuoco, perché i morti non sono mai morti del tutto, ma vivono e possono ancora insegnare la vita in quanto sono morti, ma conoscono la vita.

Oltre ai “defunti” parli anche di altri aspetti, come gli “oggetti” che sono importanti nella cultura nojese, quindi, raccontaci di questi aspetti importanti.
Oltre ai “morti vivi” parlo anche degli oggetti che vengono vivificati dalla memoria e dal racconto. Sono gli oggetti della tradizione e penso che negli oggetti di una comunità si conservino le stratificazioni degli aspetti culturali. Gli oggetti sono importanti, perché essi sono la condensazione della cultura di quella comunità e perciò ne designano la simbologia ancestrale che ne è alla base. Questi oggetti li definisco spesso come “oggetti persona”, perché hanno un´anima che viene data a loro dall´immaginario collettivo.

All´interno ritroviamo dei gesti, quali sono?
In questo caso esiste una semiotica comune, cioè una gestualità comune appartenente a quel mondo contadino che era sempre una gestualità relata, cioè finalizzata a qualcosa. Spesso era legata anche a dei momenti rituali, come il gioco del falcetto. Penso che i gesti non siano solo gesti, ma siano gesti incarnati, cioè nei gesti esiste l´identità non solo individuale, ma collettiva di un popolo.

Cosa vuoi trasmettere con questo libro a chi legge?
Il messaggio più fondamentale è quella della preziosità. La preziosità è la nostra lingua, cioè il dialetto che spesso è stato considerato come uno stigma, nel senso come appartenente al volgo, e quindi come sinonimo di ignoranza. Invece dal mio punto di vista il dialetto è fondamentale, perché in esso si celano ancora quei retaggi arcaicissimi dell´italianità che possono servire anche a comprendere meglio la lingua nazionale. Con questa preziosità, attraverso il mio libro, voglio che venga riconosciuta da chi ancora la conserva nella parlata.

Ferdinando Cuccaro



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