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Focus diocesano: “in ascolto del grido dei poveri”

6/05/2021

Sabato 8 maggio 2021, dalle ore 17.30 alle ore 19.30, si svolgerà a distanza l’ultimo dei quattro focus previsti nel percorso ecclesiale annuale “In ascolto del Creato”, finalizzato alla “conversione ecologica globale” personale e comunitaria, proposto dal Consiglio Pastorale Diocesano e dalla Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali di Tursi-Lagonegro.
Traccia tematica del focus: “In ascolto del grido dei poveri”.
È possibile partecipare tramite la pagina Facebook “Diocesi Tursi-Lagonegro” o la piattaforma ZOOM.
Interviene il prof. Andrea Riccardi, storico, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio.
Il programma prevede la preghiera iniziale, guidata da don Gianluca Bellusci, Assistente della CDAL, il saluto del Vescovo S.E. Mons. Vincenzo Orofino e la presentazione dei lavori da parte di Anna Maria Bianchi, Presidente CDAL.
Quindi il prof. Andrea Riccardi terrà la Relazione: “Ascoltare la storia e il grido dei poveri”. A seguire l’interazione a distanza e le conclusioni di Anna Maria Bianchi, Presidente CDAL.
don Giovanni Lo Pinto


Perché ho avuto fame …

A mezzo secolo dal cosiddetto Patto delle Catacombe, sottoscritto da oltre cinquecento padri conciliari pochi giorni prima della chiusura del Vaticano II, Papa Francesco riprende una felice espressione del Documento di Puebla (1979), l’opzione preferenziale per i più poveri (LS 158) e la propone con forza come imperativo etico. Inserendo la riflessione sulla crisi ambientale nel contesto più ampio dell’Insegnamento sociale della Chiesa, prospetta un modello in cui sviluppo sostenibile e grandi sfide si affrontano guardando gli ultimi, gli scartati, quelli che finora hanno pagato il prezzo più alto, soffrendo di privazioni gravi che minacciano la dignità della persona. Il Signore si è identificato con loro (cfr Mt 25, 31-46), quindi l’opzione preferenziale è scelta cristologica. Non opzione facoltativa, ma una decisione a cui ogni credente è chiamato, una carità non estranea alla giustizia.
In genere tendiamo a fare in modo che i poveri non siano troppo visibili: va bene rispondere alle loro necessità immediate, ma che poi non diano fastidio! Perché il dolore fa paura, il disagio inquieta, il bisogno scomoda la nostra tranquillità; perché è ancora mentalità diffusa considerare la povertà un fenomeno “naturale”, nonostante don Tonino Bello avesse già detto negli anni ottanta che poveri non si nasce, ma si diventa. In sintesi, diciamo povertà, ma dovremmo dire impoverimento, un processo strutturale costruito dalle società umane scegliendo principi e pratiche sociali di un certo tipo piuttosto che di un altro. L’azione per debellarlo consiste anzitutto nel contrastare l’arricchimento ingiusto e predatore. Questo non avviene in generale e nella nostra realtà regionale in particolare. Che cosa sostanzialmente non funziona? Scelte politiche che continuano a coltivare assistenzialismo invece di promuovere emancipazione. La ragione fondamentale dell’insuccesso ad oggi delle politiche nazionali ed internazionali per la riduzione e l’eliminazione della povertà perseguite fin dagli anni settanta sta proprio nel fatto che sono state centrate sulla cura delle conseguenze, intervenendo sotto forma di aiuti sui sintomi, e non sulle cause strutturali dell’impoverimento.
Cambiare prospettiva implica puntare alla vera inclusione, impostare diversamente il welfare, considerare gli impoveriti non meramente destinatari di pietà, ma veri agenti di cambiamento per uno sviluppo sostenibile. Questa è un’acquisizione non scontata e non secondaria, al pari della ricca complessità della parola sostenibilità: non solo ambientale, economica e sociale, ma anche umana. Un’ecologia umana che tende a divenire teologica, in una dinamica di assunzione e di purificazione che orienta alla pienezza del definitivo in Dio.
Abbiamo chiesto al prof. Andrea Riccardi, storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, di aiutarci a capire cosa vuol dire nel concreto saper ascoltare la voce, il grido dei poveri, nell’ottica di una vera conversione ecologica, che è insieme personale e comunitaria.
Siamo convinti che come singole persone si può fare molto nelle comunità locali, però aiutare singolarmente avallando nel contempo con la nostra inerzia un sistema sbagliato non può farci sentire con la coscienza a posto. Ci rendiamo conto che non è ancora quotidianità, nonostante le tante buone pratiche, il sentire insieme, come popolo di Dio, il desiderio di costruire concretamente la società del gratuito, l’economia del dono. Eppure ci è chiesta una opzione di fondo (Fratelli tutti 67): farsi carico del dolore o passare a distanza, riconoscere l’uomo caduto o affrettare il passo, l’inclusione o l’esclusione di chi soffre …. Deve continuare la logica per cui chi non ha “potere”, chi non ha i numeri è sempre perdente? Possiamo noi essere voce di chi non ha voce, suscitare consapevolezza, esercitare responsabilità, cercare di individuare e rimuovere le cause che possono accrescere povertà e marginalizzazione almeno nel nostro contesto?
Se vogliamo davvero non lasciare nessuno indietro, obiettivo per altro presente anche nell’Agenda 2030 (Dichiarazione, punto 4 dell’Introduzione), dobbiamo ricordarci con don Benzi che “non basta mettere le spalle sotto la croce del fratello; a chi fabbrica le croci occorre dire di smetterla”.




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