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La parabola del seminatore

21/10/2012

“Ancora una volta un'immensa folla si riunì intorno a Gesù sulla riva del lago, mentre egli insegnava. Allora Gesù monto su di una barca un po' scostata dalla riva, si sedette, e da lì continuo a parlare, mentre la folla lo ascoltava da terra. Egli insegnava molte cose in parabole, per esempio questa: "Ascoltate: un contadino andò a seminare. Mentre seminava, alcuni semi caddero sulla strada, dove accorsero degli uccelli che li mangiarono. Altri, invece, caddero in uno strato di terreno sottile, sotto cui c'era la roccia. Subito germogliarono, perché il terreno non era profondo, ma quando si levo il sole, le pianticelle bruciarono, perché non avevano radice. Altri semi poi caddero fra le spine che, crescendo, ne soffocarono i germogli, e in tali condizioni non produssero grano. Infine, alcuni dei semi caddero nella terra buona e produssero trenta, sessanta e perfino cento volte quanto era stato piantato. Cercate di capire ciò che vi dico…”. La bellissima parabola che abbiamo proposto potrebbe essere felicemente presa in prestito per spiegare un concetto di economia. A differenza di quanto avviene, in alcuni casi, nella nostra Regione quando politici rampantissimi giocano a fare gli imprenditori proponendo di volta in volta mirabolanti investimenti che però vengono fatti con soldi pubblici e molto spesso non a vantaggio dello sviluppo bensì di qualche “amico” o socio, alla base del “fare impresa” vi è “ l’idea imprenditoriale”. Questa è la chiave di volta per un serio processo di sviluppo economico e il frutto di competenze specifiche maturate con anni di esperienza pratica e lavorativa in un determinato settore, nonché di un innato intuito dell’imprenditore nel fare scelte ed investimenti appropriati. Possiamo dire che l’idea imprenditoriale sia il seme dal quale potrebbe germogliare l’economia. Questo ragionamento vale per ogni tipo di impresa, sia essa di erogazione o di produzione; familiare, pubblica, privata, cooperativa, ecc. Ma proprio come il seme della Parola, anche l’idea imprenditoriale, per poter germogliare e dare dei frutti, deve cadere su un terreno idoneo e cioè in un ecosistema fertile, altrimenti rimarrà sterile. Questo ecosistema è fatto di regole chiare, tempi certi per il rilascio di autorizzazioni e per i pagamenti da parte della pubblica amministrazione, assenza di burocrazia, sana competitività tra le imprese, non viziata dalla concorrenza sleale di quelle spinte dai politici, infrastrutture al servizio dell’impresa, un buon sistema bancario, regole di trasparenza nella gestione degli appalti, un apparato della giustizia messo in condizioni di fare il proprio lavoro in modo da tenere lontano dall’economia la criminalità organizzata, la criminosa politica e tale da garantire tempi certi per i processi. Senza parlare delle competenze dei Comuni, delle ASL, delle unità locali ecc. ecc. Tutto questo dipende direttamente e giustamente dalla politica il cui compito è proprio quello di scrivere le regole e di creare le condizioni affinché l’economia possa svilupparsi e dare i suoi frutti. E quali sono i frutti dell’economia? Il primo e più importante è sicuramente l’occupazione! Il secondo è il benessere. Il tutto prende il nome di “società evoluta”. Se quindi vi è un’idea imprenditoriale ottima ma non vi è un ecosistema adeguato non si avrà ne occupazione ne benessere, neanche in presenza di cospicui investimenti di soldi pubblici. Basterebbe che la politica facesse ciò che compete alla politica e che l’impresa fosse LIBERA di fare l’impresa e tutto andrebbe al proprio posto. Oggi purtroppo non è così, semplicemente perché sviluppo significa benessere ed il benessere significa libertà: la maggiore arma di ricatto in mano a politici senza qualità personali nei confronti del popolo elettore è il poter dare un posto di lavoro in cambio di voti. Nel momento in cui ci fosse una economia in grado di produrre autonomamente occupazione quest’arma non sarebbe più efficace e questo tipo di voto di scambio non più possibile. Quindi certa politica ha bisogno di deprimere l’economia e renderla completamente sua schiava. E siccome la stesura delle regole è affidata alla politica tutto questo diviene possibile. Terminiamo questa nostra riflessione con un aneddoto inventato che intitoleremo “la parabola dell’imprenditore”. Questo breve raccontino non è ispirato, per usare una formula hollywoodiana, a nessun fatto reale o a persona realmente esistita, ed è rivolto a coloro che hanno occhi per vedere e orecchi per sentire: “ Un gruppetto di ragazzi e ragazze della Val D’Agri, professionisti e con esperienza nel settore, si mette in auto al mattino per recarsi in un Comune dove avrebbero intenzione aprire una Casa Famiglia. Arrivati sulla 598 trovano una cisterna che trasporta greggio e la loro auto è costretta a percorrere circa trenta chilometri alla velocità dell’autocisterna restando dietro a questa mentre il contenuto ne ammorba l’aria rendendola irrespirabile. Giunti, dopo un tempo lunghissimo, al bivio del Comune di…, con grande sollievo i ragazzi aprono i finestrini per far entrare aria fresca ma subito l’auto riceve un colpo fortissimo, essendo caduta con la ruota in una delle tantissime buche di cui la stretta e tortuosa strada è cosparsa. Riducendo ancora di più la velocità, l’autista percorre con una gincana il restante percorso. Giunti finalmente al Comune, presentano la richiesta di autorizzazione all’apertura. Questa viene accolta dalla controparte con molta freddezza e quasi incredulità, prima perché tale iniziativa non è stata preceduta da nessuna telefonata da parte di “nessuno” e poi per il fatto stesso che essi abbiano scelto, senza alcuna necessità, di imbarcarsi in una cosa del genere: in Basilicata si sa, ci sono altre strade per ottenere un lavoro. Gli viene fatto subito capire, per giunta, che se anche gli venisse consentito di aprire una tale struttura parte del personale dovrà essere “segnalato” dalla politica. I giovani imprenditori, che sono molto motivati, accettano con una certa rassegnazione le condizioni imposte e si rimettono in cammino alla volta di Potenza, dove vorrebbero informarsi sulle modalità per accreditare la struttura che intendono aprire. Quindi nuovamente gincana tra le buche e poi, finalmente, la 598. Ma appena giunti sulla strada principale ecco nuovamente la cisterna che trasporta petrolio, chissà perché, costeggiando l’oleodotto. Quindi divieto di sorpasso, aria mefitica, perdita di tempo. Oramai rischiano di trovare gli uffici della Regione chiusi e qualcuno tenta di chiamare per informarsi sugli orari ma, la linea dei cellulari va a singhiozzo: certamente un posto spopolato e depresso non interessa più di tanto neanche alle compagnie telefoniche. Ma a quel punto decidono di raggiungere lo stesso il Capoluogo. Dopo circa un’ora e mezza di viaggio estenuante eccoli finalmente arrivati. Vengono fortunosamente ricevuti, in extremis, da un impiegato gentile che li informa però del fatto che nonostante gli obblighi di legge la Regione Basilicata non ha mai approvato i criteri di accreditamento per le strutture socio sanitarie. Affranti, decidono di chiedere anche quali sono i tempi di pagamento della pubblica amministrazione e scoprono che la Regione Basilicata lascia passare anche più di un anno prima di evadere i mandati nei confronti delle imprese sociali. Risoluti nel non mollare, i nostri intrepidi imprenditori decidono di passare dalla banca per informarsi sulla possibilità di avere un “anticipo su fattura”, emessa nei confronti della pubblica amministrazione. Gli viene risposto che potrà essere concesso “qualcosa” ma solo a fronte di garanzie personali offerte dai soci. A nulla serve dire che l’anticipo riguarda il fatturato, cioè un debito già maturato nei confronti della Regione della quale, evidentemente, la banca non si fida affatto. Fatti un po’ di conti i nostri eroi si rendono conto che andranno a rimetterci minimo diecimila euro all’anno di interessi. Costernati prendono la via del ritorno imboccando la terribile 598. Questa volta a capeggiare una coda di circa trenta auto che viaggiano in direzione EST a 40 km/h, oltre all’immancabile cisterna piena di benzene e cancerogeni vari, vi sono anche due bilici che trasportano la “monnezza” proveniente da Napoli. Appestati, stanchi, scoraggiati gli aspiranti imprenditori decidono di non fare più gli imprenditori. Accogliendo i suggerimenti dei grandi, che sicuramente ne sanno più di loro, decidono di fare domanda per la cittadinanza solidale per la quale percepiranno settecento euro al mese puntualmente, tutti i mesi. Contemporaneamente potranno coltivare l’orticello e allevare qualche gallina, ma soprattutto non saranno più costretti a subire ricatti, a sperperare il proprio tempo dietro a mezzi che appestano l’aria o a rimetterci, eventualmente, di tasca propria quel poco che hanno guadagnato col loro lavoro per pagare gli interessi bancari. Non dovranno neanche affrontare liti giudiziarie in cui i dipendenti raccomandati dai politici li trascineranno quando, a causa dei ritardi della politica, non saranno in grado di pagare gli stipendi. Non dovranno pagare le tasse, trovarsi un consulente, fare la spesa per gli ospiti, preoccuparsi degli affitti della struttura, dare un servizio utile alla società che richiede aggiornamento professionale, studio e impegno. Prenderanno i loro soldini, pochi magari ma puliti, dati dalla grande e provvidenziale mano della Regione Basilicata. Gli basterà tutt’al più votare bene alle prossime elezioni, loro stessi, i mariti, le mogli, i figli il nonno la nonna, qualche zio e compagnia cantante. Certo con settecento euro e qualche gallina non si vivrà benissimo ma poi c’è sempre l’orto e…il sopravvivere, sempre e comunque, a tutti i costi in attesa che i tempi cambino. E la laurea? Quello era un regalo per mamma e papà e forse un giorno chissà, magari la grande e caritatevole mano della politica vi farà anche questo regalo…abbiate sempre fede figlioli, andate in pace. AMEN!

Antonio Salerno



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