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Pandemia da SARS-Cov-2 e medicina del territorio: spunti di riflessione

18/05/2020

La pandemia di Covid-19 ha drammaticamente messo a nudo le molteplici criticità del nostro sistema sanitario evidenziando lo scollamento tra i tre livelli assistenziali rappresentati dalla prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro, dall’assistenza distrettuale e da quella ospedaliera, ma anche l’incapacità di ciascuno di essi di fornire la risposta più adeguata all’emergenza. In questa sede si vuole affrontare un tema emerso con prepotenza ultimamente alla luce dell’esperienza vissuta e che ne ha evidenziato tutti i limiti. Intendo riferirmi al territorio, ricomprendendo in tale termine i primi due livelli assistenziali innanzi descritti e con riferimento ai più rilevanti limiti appalesati in questa emergenza. Tutto prende spunto dall’ultimo decennio in cui si è assistito al sostanziale definanziamento del nostro Sistema Sanitario che, unitamente ad una serie di misure dettate da esigenze solo ed esclusivamente economiche come, ad esempio, il blocco del turnover del personale e la spending review, da nord a sud, ha penalizzato sia il sistema ospedale, sia e soprattutto, quello territoriale in cui si è assistito ad un livellamento verso il basso. Le ricadute negative, manco a dirlo, hanno interessato particolarmente le risorse umane con un continuo depauperamento di personale sanitario che, come riportato anche dal Rapporto CREA Sanità dell’Università di Tor Vergata pubblicato nel dicembre scorso, ha determinato una carenza diffusa e consistente di medici, infermieri e personale di altre qualifiche. Se solo si volesse mantenere il modello assistenziale attuale, secondo quanto sostiene il rapporto, ma a mio avviso invece vi è bisogno di una profonda riorganizzazione a prescindere dall’emergenza Covid-19, necessiterebbero ben 96.000 dipendenti in più, con scontate criticità più rilevanti al sud rispetto al nord del Paese. Inoltre, si riporta un definanziamento in termini percentuali rispetto al Prodotto Interno Lordo (PIL) che relegano il nostro Paese agli ultimi posti tra quelli dell’Europa occidentale. È vero che l’ultima legge di bilancio, prima dell’emergenza Covid, aveva stanziato 2 miliardi di € per il reclutamento del personale dipendente riconoscendone le criticità e che gli ultimi provvedimenti legati all’emergenza hanno stanziato ulteriori risorse e sancito una semplificazione per rendere più semplici le assunzioni ma resta il problema, a mio avviso, di riconsiderare nel complesso il modello di SSN e di rivedere i modelli di offerta assistenziale.
Superata l’emergenza, è necessario far seguire a questi interventi economici, misure atte a rendere il sistema più adatto ai reali bisogni modificando l’impostazione fortemente ospedalocentrica, superando l’esasperata regionalizzazione e dando la giusta rilevanza e dignità al territorio. Questo non vuol dire che gli ospedali non hanno bisogno di una riflessione, ma il modello basato su di essi è stato oggetto recentemente di una riforma con il DM 70/2015 sugli standard dell’assistenza ospedaliera. Se avessimo potuto contare su un territorio adeguato, inteso come sopra specificato, sicuramente anche la risposta all’emergenza sarebbe stata più efficiente, appropriata ed efficace, pur con tutti i limiti dovuti alla novità dell’agente biologico coinvolto, alle sue modalità di diffusione ed alla sua patogenicità. Come intervenire allora? Bisogna innanzitutto partire dalla considerazione che prevenzione da un lato ed assistenza distrettuale dall’altro, devono essere assicurate avendo come garante una regia unitaria e che non siano affidate alla completa autonomia regionale. L’esperienza di queste settimane ci ha mostrato modelli di risposta diversificati, spesso creativi e inadeguati alla situazione e dove l’autoreferenzialità, ahimè un difetto sempre ricorrente, ha raggiunto a volte livelli iperbolici. Vi è necessità, per contro, di modelli univoci, affidabili e omogenei nelle risposte a problemi comuni, in particolare quando si tratta di fronteggiare emergenze sanitarie e sociosanitarie. Questo sia per la valenza generale ed ubiquitaria che prevenzione ed assistenza distrettuale hanno, sia per la diversa connotazione di fondo rispetto all’assistenza ospedaliera. Non va trascurato in proposito che un tema emerso in maniera imperante in questi ultimi anni è quello dell’equità e dell’accessibilità alle prestazioni da parte del cittadino su tutto il territorio nazionale. È indispensabile poter contare su di un modello unico di governo del sistema che possa garantire tempestività e prossimità al cittadino, ma anche equità di accesso, omogeneità, accessibilità, che in fondo sono i principi ancora attuali della legge 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta anche di proporre il modello di medicina territoriale come il setting assistenziale più adatto nella gestione dei bisogni meno complessi ma anche di quelli, come la pandemia ci ha insegnato ad esempio con l’attivazione delle USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), che trovano la risposta più adeguata sul territorio e persino a domicilio del paziente, per giunta anche con minori costi rispetto all’ospedalizzazione che in tali casi risulta essere, tra l’altro, inappropriata. È importante creare la vera integrazione tra i diversi attori e servizi che non può prescindere da una adeguata e continua comunicazione la quale ha mostrato in questa pandemia tutti i suoi limiti; ma anche favorire una cultura dell’appartenenza al sistema da parte di tutte quelle figure professionali come MMG, PLS, Specialisti ambulatoriali i quali, pur in un rapporto di lavoro non di dipendenza ma di tipo convenzionale, devono essere maggiormente coinvolti facendo loro recuperare un ruolo più adeguato rispetto a quello attuale e fidelizzandoli facendoli sentire come parte importante del sistema. È necessario favorire il lavoro in team, adeguare anche le dotazioni tecnologiche (telemedicina, telecontrollo, diagnostica di base, ecc.) che possono così essere di supporto a competenze più avanzate che potranno essere garantite sul territorio, e stimolare una più stretta collaborazione tra livello distrettuale e dipartimento di prevenzione i quali devono essere integrati in un percorso che, partendo dalla prevenzione, si completa, laddove necessario, nei percorsi diagnostico-assistenziali territoriali, non dimenticando l’integrazione sociosanitaria che è fondamentale per gestire al meglio i pazienti fragili, notoriamente anche i più bisognosi. Da non trascurare la modernizzazione e l’informatizzazione di un sistema con la piena esecutività, ad esempio, del Fascicolo Sanitario Elettronico e di progetti simili, che hanno il compito di costituire un database continuamente alimentato in cui tutti gli attori possono condividere informazioni utili alla migliore gestione del paziente. In parole povere bisogna modernizzare il sistema e recuperare appropriatezza dell’ambito assistenziale territoriale. Come appare evidente si tratta di un tema molto complesso che non può essere affrontato in modo esaustivo in queste poche righe che mirano a offrire spunti di riflessione e discussione ma anche a lanciare un messaggio che esprime un’esigenza di riorganizzazione profonda. Molti di questi temi andranno affrontati in sede di rinnovi delle convenzioni e attraverso una riforma con la quale le regioni facciano un piccolo passo indietro sul percorso dell’autonomia, sapendo che in tal modo si potranno offrire servizi migliori ed adeguati ai reali bisogni dei cittadini. Ma, in un discorso ancora più ampio e che riguardi tutto il sistema, attraverso la modifica dell’approccio culturale dove il bene salute da preservare o recuperare sia considerato valore inalienabile e di rango superiore alle valutazioni economiche dove queste ultime devono essere funzionali ad esso.


Bruno Masino



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