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Graziano Accinni ”Elettrico lucano”

14/06/2012

Quasi dieci anni fa, nel 2003, Graziano Accinni decise di gettare il cuore oltre l’ostacolo, di prendere per mano un po’ di cavalli di razza della musica lucana e partire per una nuova avventura in sella alla sua chitarra. Compagna di sempre.
Quella compagna di viaggio che fino ad allora lo aveva portato per oltre vent’anni in giro per il mondo accanto a Pino Mango, a Miguel Bosè, in concerto con Hevia, o per la colonna sonora di Alma Story con Moni Ovadia, oppure con il flautista Jan Anderson leader dei Jethro Tull, per la cover di Locomotive Breath. Fino in Cina per rappresentare la Basilicata e la sua musica.
Più di vent’anni in cui quella chitarra si è trasformata da semplice strumento musicale a scrigno troppo prezioso, pieno di ricordi, di musica, di passione. Una passione nata nella musica folk, da ragazzino, passata per il pop e il rock degli anni Ottanta e Novanta, per poi ritornare, più ricca di esperienza, alla ricerca popolare, al devozionale, all’arcaico, al sacro e al pagano, alla tradizione. Dopo tutto questo, sta ora per uscire “Elettrico Lucano”, l’ultimo suo lavoro che, per la prima volta rappresenta un disco tutto suo, “che tenevo dentro da più di trent’anni”, confessa.
Dentro c’è tutto Accinni e tutte le sue chitarre, c’è una grande varietà di generi e di brani, quasi tutti originali, appartenenti a storie diverse della più estesa Lucania: quella del periodo pre-Unitario i cui confini erano tutt’altro che delimitati dall’attuale aspetto topografico; c’è tutto il suo patrimonio immateriale.
Nel suo stile dell’ultimo decennio, si tratta di “melodie tradizionali autentiche arrangiate nel rispetto della cultura del popolo lucano e del Sud Italia”, come recita il sottotitolo del disco. Quasi tutte le melodie dell’album sono originali registrate sul campo da lui in persona o da altri: il prof. Giuseppe Michele Gala e Padre Policarpo Trojli, per citarne qualcuno, nell’area che va dalla Valle dell’Agri in provincia di Potenza fino ad arrivare in Puglia, in Campania e in Calabria con una sola cover riadattata e riarrangiata in chiave ethno-rock. E’ festa, si proprio Celebration della P.F.M., con chitarre elettroacustiche, basso e percussioni in un indiavolato inseguimento sonoro con soli di carattere etnico-country-blues cercando di esaltare ancor di più il capolavoro del gruppo milanese; una sorta di scambio tra Nord e Sud dove le parti sono piacevolmente invertite: il rock cede il posto alle ritmiche etniche ed alle tammorre e la melodia originale si fonde con i giochi virtuosi del chitarrista lucano.
Canti a polka come Sciarulà e Tiaroru, riarrangiate con l’uso dei loops elettronici e chitarre elettriche inframezzate da riff e soli di guitar synth “oramai più da nessuno impiegati nel mondo musicale attuale”. Una specie di dietrofront anni ‘80 con qualche intelaiatura chitarristica di poliziesca memoria (Tiaroru) vedi Andy Summer dei lontani Police.
Questo palinsesto musicale messo a disposizione del dialetto lucano di matrice moliternese, acheruntina, del Pollino e anche cilentana (vedi Jungle Castellabate) va a edificare strutture sia di carattere devozionale (Uommini e Femmini, Madonna dell’Alto, San Canio) che pagano, con alcune incursioni in storie reali di paese, come quella di Padre Teodoro (Tiaroru) realmente esistito e quasi scacciato da Moliterno nel 1931. Una storia che elettricamente offre un ponte tra generazioni che altrimenti non avrebbero conosciuto niente di tutto ciò. Sono l’amore e la passione per la propria terra e per le proprie origini musicali, contaminandole con tutto ciò che si è amato e divorato in tanti anni di musica e di chitarra, che hanno portato Accinni alla costruzione di questo lavoro.

“Elettrico Lucano” è dunque Graziano Accinni in persona prima che il titolo del suo album; ed è proprio questo “invecchiare in barrique” per tanti anni che ha dato al progetto il profumo della qualità.
Anni di musica, rapporti e successi che hanno creato una reputazione artistica determinante per consentirgli di mettere insieme, nello stesso disco, parte del gotha della musica folk lucana e della ricerca tradizionale, ospitando Antonio Infantino, i Musicamanovella, il chitarrista Renato Pezzano dei Tarantolati di Tricarico, oltre ai “suoi” musicisti degli Ethnos: il bassista Sal Genovese, il sassofonista Sergio Leopardi e i chitarristi Silvio De Filippo e Peppe Cairone,la voce del lavoro è interamente affidata al cantante Giuseppe Forastiero, già collaboratore del musicista nell’album Canti Randagi 2 dedicato a Fabrizio De Andre’ a 10 anni dalla sua scomparsa.
Ancora all’interno trovano posto artisti e solisti di svariata natura musicale ad iniziare dal contrabbassista jazz Marco De Tilla di Napoli, il flautista classico Antonio Cimino di Teggiano, i violinisti Michele Conti di Lentini (Sr) alla lyra e Stefano Zeni di Milano al violino elettrico, ospiti nel brano Meridional Tarantel, il cilentano Pietro Ciuccio alle percussioni e alle tammorre e il milanese Giuseppe Rotondi alle percussioni nel brano Il Volo dell’Angelo. Nel disco si può ascoltare inoltre la voce del Vescovo della Diocesi Tursi-Lagonegro, S.E. Monsignor Francesco Antonio Nolè.
Insomma un grande ponte musicale e intergenerazionale che unisce l’antico con l’attuale, l’arcaico lucano con la musica degli anni ‘80 passando per colori world music e antichi canti devozionali che aprono il cuore alla civiltà rurale di un tempo.
Il prodotto sarà sponsorizzato dalla struttura P.O.Val d’Agri della Regione Basilicata nell’ambito del progetto “Antiche melodie per le nuove generazioni”, distribuito e comunicato in collaborazione con il quotidiano La Nuova del Sud e l’associazione Lucanianet.

Un disco che “tutti i lucani dovrebbero avere nelle loro case, - si augura il musicista moliternese - da ascoltare insieme nonni e nipoti per afferrare tutte le tappe culturali di un’identità regionale che qui si vuole rappresentare in musica, con un occhio all’elettrico, al meccanico della modernità ed un occhio all’anima antica del nostro popolo”.
Con questo disco, dunque, Graziano Accinni ritorna a viaggiare. Ma lo fa nel suo mondo interiore, consapevole che, nei tanti viaggi della vita, non cambiano i luoghi se non cambiano gli occhi con cui ci si guarda intorno.



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