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La voce della Politica
Lezzi espone le 'Linee programmatiche del Ministro per il Sud' |
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18/10/2018 | Questo Governo nasce con l’intento di marcare nettamente un cambiamento tra politiche del passato e visione del futuro: obiettivo è quello di superare l’uso di etichette sterili per favorire il vero e reale sviluppo omogeneo del Paese facendo leva e integrando tutte le politiche per la riduzione dell’ormai insostenibile e ingiustificato divario tra Nord e Sud, di un’Italia a 2 velocità, di un Paese diviso e con poca fiducia nelle reali potenzialità di quella che continua ad essere una delle principali economie mondiali.
A conferma dell’attenzione del Governo per il meridione d’Italia mi è stata conferita la delega per il SUD e come da contratto di maggioranza, la mia attività sarà orientata alla “previsione di politiche (sostegno al reddito, pensioni, investimenti, ambiente e tutela dei livelli occupazionali) finalizzate allo sviluppo economico omogeneo del Paese, e alla riduzione del gap tra Nord e Sud”.
Pertanto, ringraziandovi per il cortese invito, di seguito proverò ad esporre sinteticamente l’attività in programma per i prossimi 5 anni di Governo. In una prima parte illustrerò il funzionamento degli Uffici della Presidenza a me delegati e le principali relazioni con l’amministrazione e con le altre autorità politiche. La seconda parte è un’operazione “verità” sull’andamento della programmazione 2014-2020, la cui impostazione ho ereditato dal precedente Governo. La parte finale sarà dedicata alla prossima programmazione 2021-2027, sia nel dialogo con le Istituzioni UE sia in preparazione delle linee strategiche per l’attuazione nazionale.
1. Funzionamento del Dicastero
Nell’organizzazione della compagine governativa svolgo le funzioni di “Autorità politica per la coesione”. Ciò comporta, innanzitutto, l’avvalimento del Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio per lo svolgimento delle deleghe assegnatemi, nonché la vigilanza sull’Agenzia per la coesione territoriale.
Sotto il profilo organizzativo, con il primo provvedimento legislativo utile (articolo 4-ter del decreto-legge n. 86/2018), abbiamo provveduto a razionalizzare e chiarire le reciproche competenze degli Uffici, a garanzia di maggiore efficacia ed efficienza dell’amministrazione. È inoltre meglio definito il ruolo di Invitalia nelle iniziative di accompagnamento delle Amministrazioni, con particolare riguardo alle funzioni da quest’ultima svolte quale centrale di committenza.
Tra gli interlocutori privilegiati del Dicastero segnalo i rapporti con il Comitato interministeriale per la programmazione economica e con il Ministro per gli affari regionali, al fine di garantire piena integrazione tra le risorse pubbliche e gli obiettivi di convergenza regionale nazionale.
Nei prossimi anni è mia intenzione, anche attraverso strumenti di semplificazione normativa ed amministrativa, assicurare una più stretta integrazione tra gli attori istituzionali coinvolti, soprattutto a livello territoriale. Ad esempio, la Cabina di regia del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020, istituita con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 febbraio 2016, dovrà sempre più rappresentare il punto di riferimento per una corretta e concreta attuazione delle politiche di coesione territoriale del nostro Paese.
Inoltre, continuerò con spirito costruttivo il dialogo già in corso con l’Unione europea, mediante la partecipazione ai consessi europei, a partire dal Consiglio affari generali – formazione coesione. Ritengo, infatti, che gli obiettivi fissati dal Trattato di funzionamento dell’Unione europea sulla politica di coesione economica, sociale e territoriale citata dal TFUE (Articoli 4 e 174-178) vadano confermati e sostenuti con politiche concrete da parte delle Istituzioni europee. Saremo, quindi, propositivi e allo stesso tempo fermi nel ribadire l’importanza di azioni concrete per eliminare il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni europee.
2. Programmazione 2014-2020
Passando, quindi, alla seconda e centrale parte di questa esposizione, sul tema generale relativo ad un efficace utilizzo dei fondi strutturali europei, già in questi primi mesi, abbiamo approfondito lo stato di utilizzo da parte dell'Italia dei fondi stessi e cominciato a delineare le azioni che potrebbero essere adottate per migliorare il loro impiego.
Voglio rassicurare infatti che, nonostante una serie di ritardi accumulati nell’ambito della programmazione 2014/2020, il governo adotterà tutte le misure necessarie per fare in modo di raggiungere i target prefissati e di poter assicurare un corretto impiego delle risorse a disposizione.
Il tempo è poco ma l’impegno del Governo sarà massimo.
In particolare, ad esempio, per quanto riguarda la tempistica di attuazione degli interventi infrastrutturali, non si può mancare di sottolineare, in questa sede, come alcuni ritardi dipendano spesso dal quadro normativo particolarmente complesso, nonché dalle responsabilità amministrative in capo alle diverse stazioni appaltanti. Per questo, si ritiene che, in futuro, l’Agenzia per la Coesione Territoriale debba svolgere un ruolo di supporto delle singole Autorità di Gestione e di accompagnamento delle Amministrazioni che lo richiedono. A questo proposito, è intenzione del nuovo governo di fare in modo che l’Agenzia per la Coesione territoriale svolga un ruolo di vero “braccio operativo” a favore delle diverse amministrazioni interessate affinché, anche attraverso specifiche azioni di supporto amministrativo, si giunga ad un più efficace ed efficiente utilizzo delle risorse a disposizione.
In quest’ottica, per esempio, intendiamo implementare, con le diverse Regioni che lo chiederanno, un’attività di “monitoraggio rafforzato”, tesa a verificare lo stato effettivo della programmazione attuativa dei programmi operativi regionali del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Tale attività può contribuire ad un consistente avanzamento della fase di selezione dei progetti su quasi tutti i Programmi Operativi Regionali e Nazionali, producendo quindi un avanzamento del valore degli stessi, previsti nel nostro Paese.
In particolare, per un’esposizione analitica della situazione vigente, di seguito i dati sulla gestione dei fondi ad oggi.
Stato di attuazione dei Programmi dei Fondi strutturali 2014-2020
La programmazione europea 2014-2020 cofinanziata dai Fondi strutturali, nell’ambito dell’obiettivo “Investimenti in favore della crescita e dell’occupazione”, ha destinato all’Italia un valore complessivo di risorse, incluso il cofinanziamento nazionale, di 54,2 miliardi di euro, importo comprensivo della quota addizionale di 2,4 miliardi di euro attribuito all’Italia, come previsto dai regolamenti, per effetto della crisi economica e finanziaria.
Di questi, il valore dei 12 Programmi Nazionali, di competenza delle Amministrazioni centrali, è di 12,5 miliardi di euro di risorse provenienti dal bilancio dell’Unione Europea e 5,7 miliardi di cofinanziamento nazionale. Di questi, per il Sud, rispettivamente, 10,7 miliardi e 4,9 miliardi di euro.
Il valore dei 39 Programmi Regionali è di 21,2 miliardi di euro di risorse provenienti dal bilancio dell’Unione Europea e 14,8 miliardi di cofinanziamento nazionale.
Le Regioni del Sud meno sviluppate (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) hanno a disposizione 13,6 miliardi di euro di risorse provenienti dal bilancio dell’Unione Europea e 7,3 miliardi di euro di cofinanziamento nazionale. Quelle in transizione (Sardegna, Abruzzo e Molise) rispettivamente poco meno di 1 miliardo di euro di quota europea e l’equivalente come cofinanziamento nazionale.
Questo è il volume complessivo delle risorse destinate ai Programmi comunitari (o europei).
L’insieme delle risorse destinate alla coesione territoriale deve però tenere conto anche di altri stock di risorse.
In primo luogo, l’ammontare delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione:
per il periodo 2014-2020, esse sono pari a 59,47 miliardi di euro, del quale – per legge – l’80% va al Sud, e che per l’85% è stato assegnato con decisione del CIPE nella precedente legislatura e per la restante parte è stato oggetto di disposizioni legislative;
vi sono poi quelle in attuazione dai cicli di programmazione del Fondo Sviluppo e Coesione (ex Risorse Aree Sottoutilizzate, ex Fondo Aree Sottoutilizzate) per gli anni 2000-2006 pari a 16,6 miliardi di euro (3,6 per il Centro Nord e 13,0 per il Sud) e 2007-2013 pari a 13,0 miliardi di euro (2,3 per Centro Nord e 10,7 per il Sud).
In secondo luogo, vanno considerate le risorse destinate ai Programmi complementari, che derivano dalla differenza tra il cofinanziamento nazionale teorico e quello effettivo adottato per i programmi europei 2014-2020. Esse ammontavano inizialmente a 7,4 miliardi (per i POC delle Amministrazioni centrali e per le tre Regioni: Sicilia, Calabria e Campania), attestandosi attualmente a 7,9 miliardi di euro.
Infine, altre risorse in attuazione sono quelle del Piano Azione e Coesione, che deriva dalla riduzione del cofinanziamento nazionale fatta nel periodo 2007-2013, pari a circa 8,9 miliardi di euro, quasi totalmente destinate al Sud.
La più stringente delle priorità che sono chiamata ad affrontare è il fatto che nel 2018 i Programmi Operativi europei, Nazionali e Regionali, dovranno raggiungere gli obiettivi di spesa fissati dai regolamenti comunitari e legati al meccanismo del disimpegno automatico (N+3). E’ la prima volta per i Piani Operativi del FESR in questo ciclo di programmazione che si procede alla verifica dei target di spesa da raggiungere e si tratta quindi di una scadenza cruciale. Ad essa si aggiunge la verifica sul raggiungimento degli indicatori di risultato che compongono il cosiddetto Performance framework al quale è legato la distribuzione di una riserva di programmazione del 6% (pari quindi a circa 3 miliardi di euro).
Sono norme e scadenze non modificabili da parte dello Stato membro e comportano, in caso di disimpegno, una perdita netta delle risorse assegnate dal bilancio dell’UE al Paese e una conseguente riduzione degli interventi sui territori.
L’attuazione dei Programmi europei presenta ad oggi un ritardo che interessa sia i Programmi operativi nazionali sia quelli regionali e, sebbene in misura differente, tanto le Regioni del Mezzogiorno quanto quelle del Centro Nord.
Dai dati più aggiornati risultano al momento spese certificate (cioè sostenute, controllate e documentate secondo i regolamenti europei) per 4,6 miliardi di euro, circa la metà della spesa complessiva che si deve certificare per evitare il disimpegno. La spesa sostenuta sul territorio è sicuramente più alta e in questi mesi dal mio insediamento è scattata una corsa contro il tempo (come peraltro accaduto similmente in passato in prossimità di queste scadenze) per completare le procedure anche di controllo sulla documentazione necessaria a certificare la spesa.
Al momento dell’inizio del mio mandato, a giugno 2018, gli uffici mi hanno consegnato una stima del rischio di disimpegno compresa in un intervallo tra 800 milioni e 1 miliardo di euro. La “forchetta” deriva non solo dalla naturale incertezza collegata al carattere di stima di questi dati, ma soprattutto essa è conseguenza delle modalità di calcolo che tengono conto del tasso di cofinanziamento comunitario a livello di Asse, Fondo e Categoria di regione per i PON che interessano più aree; per cui il valore puntuale delle risorse comunitarie assorbite si determina successivamente in base alle spese sostenute e al loro tasso di cofinanziamento.
Oggi la stima del rischio di disimpegno che mi viene fornita dall’Agenzia per la Coesione territoriale è compresa tra 650 e 750 milioni euro. I dati, aggiornati di continuo, mostrano una grande mobilitazione di tutte le Amministrazioni coinvolte, una forte cooperazione istituzionale e quindi un grande recupero.
Questo ritardo di attuazione, comunque grave, non può essere considerato sorprendente. Devo quindi dire con chiarezza che, pur con l’attenuante del periodo elettorale e della lunga crisi nella formazione del nuovo Governo, questo ritardo non è stato affrontato adeguatamente da chi mi ha preceduto.
Analizzare le principali cause di questo ritardo è comunque necessario per cercare di trarne una lezione che ci aiuti anon ripetere certi errori nel nuovo ciclo di programmazione post 2020.
Anzitutto, la tardiva approvazione dei Regolamenti per i Fondi strutturali, intervenuta solo a dicembre 2013, fissando regole, criteri e meccanismi nuovi, ha rappresentato un freno importante.
I ritardi accumulati in sede negoziale europea nell’approvazione dei regolamenti comunitari hanno, a loro volta, prodotto uno slittamento dell’approvazione sia dell’Accordo di partenariato, sia dei Programmi operativi, per la gran parte, inclusi i principali, approvati nel corso del 2015, ragione per la quale il 2014 non può essere considerato come primo anno di effettivo inizio della programmazione corrente.
Una ulteriore causa di ritardo deriva dal protrarsi delle attività di chiusura della programmazione 2007-2013, che ha visto le Autorità di gestione dei programmi fortemente impegnate nel concentrare tutte le proprie risorse verso l’obiettivo della certificazione delle spese sostenute entro il 31 marzo 2017 ai fini del pieno assorbimento delle risorse, con spese complessivamente certificate pari a 46,2 miliardi di euro a fronte di risorse programmate pari a 45,8 miliardi di euro.
Entrambe le cause hanno trovato riscontro anche nella relazione speciale n. 17/2018 della Corte dei Conti Europea.
Particolarmente oneroso si è rivelato anche il processo di adeguamento alle Condizionalità ex ante che rappresentano un’assoluta innovazione che caratterizza la programmazione 2014-2020. E’ stata l’occasione per verificare la disponibilità dei pre-requisiti per l’efficacia della spesa. In diversi ambiti molto rilevanti le condizionalità erano soddisfatte (ad esempio in tema di PMI, prevenzione dei rischi, occupazione e mercato del lavoro, istruzione), ma in altri importanti ambiti (ad esempio banda larga, ricerca, diversi aspetti connessi alla complessa tematica ambientale, inclusione) sono stati attuati 160 piani di azione secondo le previsioni regolamentari, con un carico rilevante per le Amministrazioni nazionali e regionali interessate, impegnate nella redazione dei piani medesimi, lungo un percorso che si è concluso solo nella prima metà del 2017, caratterizzato dal costante confronto con i Servizi della Commissione europea.
Vi è poi il tema della capacità amministrativa delle Amministrazioni titolari dei Programmi. Le azioni di miglioramento realizzate attraverso lo strumento specifico dei Piani di rafforzamento amministrativo, hanno generato un impatto modesto per quanto riguarda il beneficio che ne è stato tratto in termini di efficientamento. Le Amministrazioni impegnate nella politica di coesione devono poter contare su strutture robuste sotto il profilo tecnico-specialistico e organizzativo, capaci di fronteggiare un impegno gravoso.
Uno degli elementi su cui si era puntato nella programmazione, da parte del precedente Governo, era l’attuazione della Strategia Nazionale Banda Ultra Larga, che invece ha fatto registrare un rallentamento della spesa rispetto alle stime iniziali, incidendo negativamente sulle prospettive di conseguimento dei target finanziari.
Attualmente sono state intraprese alcune azioni a carattere trasversale per accompagnare le Amministrazioni nel raggiungimento degli obiettivi di spesa. Fra queste assume una particolare rilevanza la riduzione del cofinanziamento nazionale in alcuni Programmi. L’Italia all’avvio della programmazione attuale, in piena conformità delle disposizioni regolamentari, ha infatti fissato livelli di cofinanziamento nazionale superiori a quelli minimi. Sono state avviate le procedure di modifica dei POR FESR Basilicata, Molise e Sicilia, i due PON del MIUR Ricerca e Scuola (quest’ultimo per la sola parte di Fondo Sociale), Città metropolitane (Metro) e Governance, questi ultimi entrambi a titolarità dell’Agenzia.
La riduzione del cofinanziamento nazionale, che per i citati programmi con procedure già avviate determina una diminuzione della spesa complessiva da certificare al 31/12/2018 di circa 116 milioni di euro, ammonta a circa 930 milioni di euro che saranno riprogrammati attraverso lo strumento dei Programmi complementari, sopra citati, oggetto di approvazione del CIPE.
Tra le Regioni in ritardo va menzionato il caso della Sicilia, dove il ritardo era particolarmente accentuato. Ho insediato una task force Sicilia, a seguito dell’Accordo di Cooperazione rafforzata sottoscritto da Regione Siciliana, Commissione Europea e ACT, con la previsione di una serie di azioni volte a sostenere una piena e tempestiva attuazione del POR per il raggiungimento degli obiettivi ad esso prefissati. Grazie a questa cooperazione la Sicilia sta recuperando rapidamente e al momento ha ridotto moltissimo il proprio rischio.
Una menzione merita la misura nazionale del credito d’imposta: a conclusione di una lunga fase di confronto politico e tecnico, con la Commissione Europea, solo all’inizio del mese di ottobre i servizi della CE hanno ricondotto, in piena conformità dei regolamenti comunitari, nell’ambito dell’applicazione della misura interventi delle PMI del Mezzogiorno anche al di fuori delle aree della Specializzazione intelligente.
La misura fa registrare un volume di investimenti lordi di 4,1 miliardi con credito d’imposta di 1,5 miliardi e importi già fruiti dalle PMI per circa 350 milioni di euro; per la rendicontabilità di quest’ultimo dato sono in corso ulteriori attività da parte dell’ACT, insieme con il MISE e le Autorità di Gestione direttamente interessate.
Fondo Sviluppo e Coesione
La dotazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per il ciclo di programmazione 2014-2020, inizialmente pari a 54,81 miliardi di euro è stata successivamente incrementata di ulteriori 5 miliardi di euro con la Legge di Bilancio per il 2018, dal precedente Governo, determinando così il totale di 59,81 miliardi di euro.
Le erogazioni attestate sono complessivamente pari a circa 2 miliardi di euro, pari al 3,4% del totale. La chiave adottata per il riparto delle risorse prevede di assegnarne l’80% alle aree del Mezzogiorno e il 20 % a quelle del Centro-Nord.
La citata quota del 3,4% delle erogazioni sul totale delle risorse FSC 2014-2020 risulta pari a circa un terzo della quota dei pagamenti dei programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali sul finanziamento totale (pari al 9,4%). Il contributo del FSC come volano della spesa dei Fondi Strutturali è fin qui risultato quindi molto contenuto.
La nuova modalità di governance del FSC definita per il periodo 2014-2020 ha influito nel determinare questa situazione.
La legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n.190) ha infatti ridefinito la cornice di programmazione delle risorse FSC 2014-2020, prevedendo l’impiego della dotazione finanziaria attraverso Piani operativi (24,85 miliardi di euro), rispondenti ad aree tematiche nazionali definiti da una apposita Cabina di regia, attivata nel febbraio 2016 e composta da rappresentanti delle Amministrazioni centrali, regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e in precedenza attraverso Piani stralcio (6,33 miliardi di euro), per la realizzazione di interventi ad immediato avvio dei lavori, destinati a confluire nei piani operativi, in coerenza con le medesime aree tematiche.
Ulteriori assegnazioni hanno riguardato nel 2016 interventi da realizzarsi nelle Regioni e nelle Città Metropolitane del Mezzogiorno mediante appositi accordi interistituzionali denominati “Patti per il Sud” (13,46 miliardi di euro).
Analoghi strumenti sono stati avviati dal 2016 con le Regioni e Città metropolitane del Centro Nord (1,07 miliardi di euro).
A tutto questo si aggiungono altri 5 miliardi di euro circa di assegnazioni effettuate dai due precedenti Governi in diversi territori e per tematiche specifiche.
Come si può vedere la programmazione è stata abbastanza caotica con una proliferazione di strumenti, con regole sostanzialmente simili ma anche con differenziazioni che determinano inefficienze. La situazione oggettiva che è venuta a determinarsi evidenzia un ritardo nella realizzazione degli interventi finanziati a valere su risorse FSC 14-20 a fronte di un rilevante impegno in termini di strutture e di personale. A ciò va aggiunto il limitato contributo che sembrerebbe tali interventi possano dare all’attuazione della programmazione europea 2014-2020. Nei miei obiettivi vi è una drastica opera di semplificazione di questo panorama, senza determinare incertezze nelle Amministrazioni, ma concentrando e standardizzando le procedure e i compiti degli organismi tecnici.
Ad esempio, le delibere di assegnazione delle risorse ai Patti e ai Piani Operativi condizionano il trasferimento delle relative risorse all’inserimento dei dati sui progetti nel sistema di monitoraggio unitario istituito (BDU) presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questo permetterebbe di avere un monitoraggio abbastanza completo dell’andamento della spesa e una fluidità delle erogazioni tale da non creare criticità finanziarie nelle Amministrazioni e non determinare strozzature. Il sistema è tuttavia ancora perfettibile ed è mia intenzione proporre delle soluzioni che rendano ancora più facile e semplificato il processo amministrativo, realizzando la più completa possibile digitalizzazione dei flussi di dati e informazioni in modo da sveltire al massimo grado queste procedure.
L’attuale governance dei Patti prevede una struttura articolata e complessa che poco si concilia con le esigenze di rapida attuazione degli interventi. Anche su questo è nei miei programmi intervenire, evitando le sovrapposizioni di comitati e tavoli tecnici.
Per quanto riguarda il Fondo Sviluppo e Coesione 2007/2013 risultano inseriti in Banca Dati Unitaria (BDU) al 30/06/2018 n. 17.469 progetti - di cui 9.029 nel Centro Nord e 8.440 nel Mezzogiorno aventi un costo complessivo pari a 21,1 miliardi di euro, di cui 13,0 miliardi a carico del Fondo Sviluppo e Coesione, suddivisi per 2,3 miliardi nel Centro Nord e 10,7 miliardi nel Mezzogiorno. Con riferimento ai progetti allo stato inseriti nella banca dati, il costo realizzato in termini di Fondo Sviluppo e Coesione ammonta a 6,6 miliardi di euro.
Per quanto riguarda il FAS 2000/2006, risultano in attuazione in totale n.24.344 progetti di cui n.10.206 nel Centro Nord e 14.318 nel Mezzogiorno. A fronte di un Costo Totale di 81,8 miliardi di euro il FSC ammonta a 16,6 miliardi di euro di cui 3,6 nel Centro Nord e 13,0 nel Sud. L’avanzamento complessivo è del 79,2% con il Centro – Nord ad un livello medio del 92,2% ed il Mezzogiorno al 75,6%.
I dati relativi alle programmazioni FSC 2000/2006 e 2007/2013 risentono dell’utilizzo delle risorse in un’ottica di programmazione unitaria. La governance del FSC dei periodi considerati, pur se sviluppatasi in maniera a volte dispersiva attraverso gli atti di programmazione negoziata, ha consentito a queste risorse di fungere da “volàno” per gli investimenti pubblici .
Le risorse FSC sono state infatti funzionali al raggiungimento degli obiettivi di spesa sui programmi europei 2007/2013 e hanno contribuito alla chiusura con successo di questi ultimi. Nell’ottica della programmazione unitaria e coerentemente con quanto previsto dal Quadro strategico nazionale 2007/2013, le Regioni e le Amministrazioni centrali hanno infatti potuto rendicontare sul FESR interventi nativi FSC e coerenti con le regole fissate dai regolamenti comunitari. Ciò ha consentito da un lato di conseguire gli obiettivi di spesa, rendicontando sui POR e PON anche opere pubbliche importanti, la cui realizzazione si dispiega in un lungo arco temporale (mediamente superiore ai 12 anni), che attraverso gli strumenti della programmazione nazionale (APQ, Programmi attuativi Regionali) è stato possibile portare a termine. Dall’altro lato le risorse rinvenienti da queste operazioni possono rientrare in circolo ed essere rinegoziate con i territori e con le Amministrazioni Centrali per realizzare nuovi interventi.
Al fine di avere contezza dell’entità di queste risorse ed alimentare un processo virtuoso è necessario rafforzare la parte informativa sulle rendicontazioni, in modo da determinare con certezza l’ammontare delle risorse che si “liberano” per effetto delle rendicontazioni comunitarie. Poiché queste rendicontazioni sono ormai tutte in dirittura di arrivo della cosiddetta “chiusura”, ho in programma una azione per fare emergere in modo trasparente le risorse che si siano liberate e verificare le possibilità di riprogrammarle.
Con la definizione e l’attuazione del Piano di Azione Coesione 2007-2013 (concentrato, inizialmente nelle cinque regioni della Convergenza), il Governo Monti, attuò, dal dicembre 2011, una significativa riprogrammazione dei PO attraverso la riduzione del cofinanziamento nazionale. Operazione identica, sia pure in scala estremamente minore, a quella che ho sopra descritto ed è in corso in questi giorni. Il Piano di Azione Coesione era impostato per svolgere le funzioni di salvaguardare le risorse comunitarie favorendo la chiusura dell’attuazione della programmazione 2007-2013 e, nel contempo, sostenere l’avvio di interventi coerenti con la programmazione 2014-2020. L’attuale dotazione finanziaria del PAC, al netto delle riduzioni per complessivi 4,5 miliardi di euro (disposti con legge nel 2013 nel 2015), si attesta complessivamente a 8,9 miliardi di euro.
I Programmi Operativi Complementari (POC) 2014 – 2020, con una dotazione complessiva attuale di 7,9 miliardi di euro, concorrono al perseguimento delle strategie e degli obiettivi dei programmi operativi nazionali e regionali favorendone l’esecuzione finanziaria. Inoltre, una quota delle risorse destinate ai Programmi operativi complementari è utilizzata per il completamento dei progetti inseriti nella programmazione a valere sui fondi strutturali europei 2007-2013 non conclusi alla data del 31 dicembre 2015 .
La dotazione dei 12 POC nazionali approvati tra dicembre 2015 e febbraio 2018 ammonta complessivamente a 3,4 miliardi di euro circa.
I POC di titolarità delle Amministrazioni centrali risultano al momento in corso di attuazione e presentano avanzamenti in termini di costo ammesso ed impegni pari rispettivamente al 22,2% e al 15,3% circa della dotazione finanziaria complessiva.
Con riferimento alle risorse destinate alla programmazione complementare regionale, risultano approvati 3 POC relativi alle Regioni Campania, Calabria e Sicilia per un ammontare complessivo di risorse pari a 3,7 miliardi di euro. Ad esse si aggiungono ulteriori risorse di parte nazionale di cui alla L. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016) destinate ai completamenti degli interventi della programmazione 2007-2013, con un totale complessivo di 4,5 miliardi di euro.
3. Programmazione 2021-2027
La futura programmazione è in piena fase negoziale. Come sapete, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte legislative lo scorso maggio, relativo in generale al prossimo Quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Si tratta di una fase politica molto delicata: l’Unione a 27 Stati membri stabilirà con il bilancio la quota di risorse da dedicare alle diverse politiche dell’Unione secondo un ordine di priorità da stabilire sulla base dell’adeguatezza delle stesse alla realizzazione degli obiettivi prefissati. Il quantum di risorse individuate incide, poi, sulla quota di partecipazione nazionale richiesta per il finanziamento della spesa europea.
Da un primo esame delle proposte dedicate alla politica di coesione sono emersi aspetti positivi, quali ad esempio l’introduzione di meccanismi di semplificazione, e elementi critici.
Ad esempio, ritengo opportuno che nel corso del negoziato si compia un altro passo in avanti sull’aspetto della semplificazione, estendendone l’ambito di applicazione alle procedure di attuazione e nei controlli e rendendo il sistema di regole più armonizzato tra i diversi fondi e strumenti del Bilancio UE, per valorizzarne concretamente le sinergie.
Riguardo al collegamento tra politica di coesione, riforme e quadro macroeconomico, che è stato rafforzato nella proposta legislativa della Commissione, vi sono ancora alcuni aspetti su cui riflettere attentamente.
Primo fra tutti, il meccanismo della condizionalità macroeconomica, confermato nella proposta della Commissione. Si tratta di un meccanismo eccessivamente penalizzante per quei territori, con maggiori difficoltà strutturali, che invece necessitano di più investimenti per essere parte a pieno titolo della strategia di sviluppo dell'Unione. Queste aree non possono essere indebolite con la sottrazione dei fondi della coesione se il proprio quadro macroeconomico o i risultati in alcuni settori di riforma non sono giudicati soddisfacenti. Ricordo, peraltro, che la politica di coesione già interviene sui diversi ambiti di riforma individuati nei Piani nazionali nell’ambito del Semestre europeo, che sono quelli più pertinenti rispetto alla sua azione. Occorre, quindi, superare questo meccanismo per evitare di sottratte risorse laddove esse sono più necessarie.
La proposta legislativa della Commissione va nella direzione di aumentare la flessibilità nell’utilizzo dei fondi, sia con riferimento alle procedure di programmazione e riprogrammazione, sia con riferimento alla possibilità di trasferire una parte dei fondi verso altri programmi e strumenti previsti dal bilancio europeo, inclusi i programmi a gestione diretta della Commissione.
Sotto questo profilo, vorrei sottolineare due aspetti per noi molto rilevanti: da un lato, l’esigenza che sia assicurata stabilità al quadro finanziario della politica di coesione nel corso del ciclo di programmazione in considerazione della natura degli investimenti che vengono finanziati basati su una programmazione pluriennale. Dall’altro, la richiesta di rendere più chiaro nelle proposte regolamentari che per i trasferimenti in favore di altri programmi del Bilancio sia preservata, a livello di Stato membro, la destinazione territoriale delle risorse oggetto di conferimento.
Per concludere, vorrei brevemente soffermarmi sul tema delle risorse. L’Italia è uno dei Paesi dell’Unione che ha subito la maggiore riduzione del PIL pro-capite per effetto della crisi economica, con evidenze soprattutto nelle regioni meno sviluppate e in transizione, in un contesto di contenimento generalizzato degli investimenti pubblici. In questo quadro, le risorse della coesione sono essenziali per la crescita degli investimenti, soprattutto nelle aree che stentano a recuperare il ritardo di crescita.
Ritengo che questo aspetto debba essere tenuto presente nel dibattito e nelle decisioni che informeranno il quadro finanziario della futura politica di coesione (già ridimensionato) nonché nelle importanti decisioni relative al riparto tra categorie di regioni, laddove la scelta dei parametri deve essere necessariamente giustificabile sulla base di criteri di equità e proporzionalità rispetto alla situazione economica degli Stati membri. Mi riferisco, in particolare al moltiplicatore applicato alla prosperità nazionale nella metodologia di calcolo per le regioni meno sviluppate, di cui si propone una misurazione eccessivamente penalizzante per l’Italia.
Infine, tenuto contro della proposta della Commissione di innalzare il livello del cofinanziamento nazionale, si ripropone oggi con maggiore forza il tema dello scomputo del cofinanziamento nazionale dal calcolo del deficit ai fini del rispetto del Patto di stabilità e crescita. Si tratta di una proposta che l’Italia ha più volte portato sui tavoli europei. Ritengo che un cambio di passo su questo aspetto sia oggi non più rinviabile se si vuole dare un contributo concreto al rilancio degli investimenti e alla rapidità della spesa.
Il lavoro di esame delle proposte di regolamento è un lavoro complesso. Sono state già trasmesse alla Presidenza austriaca del Consiglio UE prime osservazioni su quanto illustrato ed è in corso un coordinamento stabile con le Regioni. Quale Autorità per la coesione sarà garantito per il negoziato sul Quadro finanziario pluriennale il supporto necessario al Ministro per gli affari europei e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale per l’elaborazione della posizione nazionale da rappresentare nei negoziati.
CONCLUSIONI
Come già accennato in premessa, la politica di coesione rappresenta un bene pubblico imprescindibile per il rafforzamento del progetto europeo. Per l’Italia tutta e per il Mezzogiorno i fondi della coesione sono risorse preziose per favorirne la trasformazione verso un’economia intelligente e inclusiva, per dare ai giovani l’opportunità di vivere e lavorare nei luoghi in cui sono nati, per innalzare la qualità dei servizi (scuole, sanità, trasporti), per rendere l’ambiente più verde e più resiliente rispetto ai rischi. E’ chiaro che la politica di coesione non può essere uno strumento risolutivo delle problematiche in cui versano le aree in ritardo se non accompagnata da investimenti nazionali adeguati. Affinché essa possa essere in grado di dispiegare pienamente i suoi effetti, occorre agevolarne e non ostacolarne i meccanismi di spesa.
Il nostro impegno per il futuro dovrà essere rivolto a potenziare le capacità di programmare e progettare da parte delle Amministrazioni e a rimuovere gli intoppi di natura burocratica, nonché a rendere tutti i soggetti, anche a livello locale, più consapevoli delle opportunità e delle procedure da attivare, puntando sulla qualità della spesa. Considero però essenziale che ciò avvenga in un quadro di regole più semplificato e più armonizzato rispetto al quadro attuale.
Si tratta di obiettivi che potranno meglio realizzarsi con il supporto e le proposte del Parlamento. Per questo motivo, sarà mia cura tenervi costantemente informati sullo stato di avanzamento delle difficili e variegate questioni e offro fin d’ora la mia disponibilità a un confronto costante con le Commissioni che oggi mi ospitano.
A cura di: SISTEMA CONTI PUBBLICI ITALIANI
ALLEGATO
Addizionalità degli interventi cofinanziati nel Sud: mancato rispetto
Il principio di addizionalità dei Fondi strutturali europei
Il principio di addizionalità sancito dai Regolamenti comunitari stabilisce che il sostegno dei fondi europei in favore dell’obiettivo della crescita e dell'occupazione non sostituisce le spese strutturali pubbliche o assimilabili di uno Stato membro e che, nei periodi di programmazione, deve essere mantenuto un livello di spese strutturali, pubbliche o assimilabili, mediamente pari, su base annua, al livello di riferimento stabilito negli Accordi con gli stati beneficiari dei fondi.
Sebbene il quadro regolatorio per la verifica dell’addizionalità sia mutato tra il ciclo 2007-2013 e il ciclo 2014-2020 in favore di un impegno nazionale macroeconomico sulla quota di investimento pubblico in rapporto al PIL, l’Italia ha , ancora nel ciclo 2014-2020, l’obbligo di effettuare la verifica anche a livello regionale, essendo la popolazione delle regioni meno sviluppate pari a circa il 30 per cento della popolazione totale del Paese e quindi una quota significativa ai sensi delle disposizioni regolamentari di riferimento.
Per la programmazione 2007-2013, in cui l’addizionalità era definita in livelli assoluti, le Autorità italiane, dopo la ridefinizione dell’importo medio annuo proposto in sede di verifica intermedia - riconosciuta dalla Commissione in quanto giustificata dalla crisi economico-finanziaria che aveva colpito l’Italia a partire dal 2008 e che aveva determinato una situazione economica e di finanza pubblica molto diversa da quella esistente nel momento in cui era stato definito il livello delle spese strutturali, pubbliche o assimilabili – hanno dimostrato di aver rispettato la verifica registrando che la spesa pubblica nazionale addizionale nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza (meno sviluppate) durante il periodo di programmazione 2007-2013 si era mantenuta a un livello medio annuo di 15.076 milioni di euro a prezzi 2006 superiore pertanto al livello di riferimento ex ante per gli stessi anni e pari a 13.860 milioni di euro (a prezzi 2006).
Nella programmazione 2014-2020 i criteri per la verifica del principio sono mutati e, secondo quanto stabilito dal Regolamento dall’art. 95 del Regolamento 1303/2013, i dati nazionali assunti come base di riferimento per la stima sono quelli riportati nel Documento di Economia e Finanza (DEF), mentre il profilo programmatico regionale è stato costruito mettendo in relazione le informazioni della banca dati Conti Pubblici Territoriali (CPT) e i dati nazionali riportati nel DEF con il relativo profilo programmatico; è stata quindi calcolata la quota media degli investimenti nelle regioni meno sviluppate di fonte CPT sul dato nazionale di fonte DEF e ricostruito il peso di tali investimenti rispetto al PIL nazionale.
Nella verifica ex ante il profilo programmatico del rapporto tra Investimenti fissi lordi e Prodotto Interno Lordo nazionale nelle regioni meno sviluppate è stato fissato dalle Autorità italiane in un valore medio per il periodo 2014-2020 dello 0,4 per cento, impegno programmatico contenuto nell’Accordo di partenariato.
Una prima ipotesi di verifica intermedia per il periodo 2014-2017, calcolata sulla base della stessa metodologia e utilizzando le informazioni aggiornate sia del DEF che della banca dati CPT, conferma il valore medio dello 0,4 per cento e quindi il rispetto del principio di addizionalità. Al tempo stesso, l’osservazione sui livelli degli investimenti pubblici e sull’andamento di tale dato sollecita a una specifica attenzione agli investimenti nelle regioni in ritardo di sviluppo per il periodo successivo al 2017 onde evitarne il rischio di riduzione nel prossimo triennio e il conseguente rischio di inadempimento del principio in termini ex post.
Il principio di equità nella spesa ordinaria dello Stato per investimenti
La consapevolezza dell’effetto sostitutivo delle risorse aggiuntive destinate alla politica per la coesione rispetto a quelle delle politiche di carattere ordinario nel Mezzogiorno ha fatto ritenere necessaria la reintroduzione di principi legislativi per il riequilibrio territoriale nella spesa investimento pubblico contenuti nell’art. 7bis della legge n. 18/2017.
La norma dispone che le Amministrazioni Centrali si conformino all’obiettivo di destinare agli interventi nei territori del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna) un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento.
L’obiettivo è quello di riequilibrare il rapporto tra i due principali canali finanziari che compongono la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno: le risorse ordinarie e quelle derivanti dalla politica aggiuntiva, sia comunitaria (Fondi Strutturali e relativo Cofinanziamento nazionale) che nazionale (Fondo di Sviluppo e Coesione).
Le risorse ordinarie verrebbero quindi orientate al rispetto del principio di equità, finalizzato a far sì che il cittadino, a qualunque area del Paese appartenga, possa potenzialmente disporre di un ammontare di risorse equivalente, mentre le risorse della politica aggiuntiva, prevalentemente destinate al Sud, hanno la funzione di garantire la copertura del divario ancora esistente, dando attuazione al co.5 dell’art. 119 della Costituzione.
Nel 2017, nell’ambito del Sistema dei Conti pubblici Territoriali, l’Agenzia per la coesione territoriale ha realizzato un esercizio di simulazione per verificare gli effetti, in termini di spesa pubblica, che si genererebbero nell’ipotesi teorica del pieno raggiungimento dell’obiettivo posto dalla legge n. 18/2017, prescindendo dalle limitazioni introdotte dal decreto attuativo e simulando a ritroso quale sarebbe stato l’impatto della norma nell’ipotesi che tutte le Amministrazioni Centrali si fossero conformate - nel periodo 2000-2015 - alla prescrizione normativa, portando la propria spesa ordinaria complessiva ad un livello pari a quello della popolazione.
Da tale esercizio – effettuato per il periodo 2000-2015 - è risultato che per il Mezzogiorno la quota di risorse ordinarie reali delle Amministrazioni Centrali è stata pari mediamente al 28,9 per cento, con una riduzione a circa il 28,4 per cento nell’ultimo triennio considerato, al di sotto della rispettiva quota di popolazione - pari mediamente al 34,4 per cento. Al contrario, nel Centro-Nord la quota delle spese ordinarie risulta pari al 71,6 per cento, quindi di 6 punti percentuali superiore alla popolazione dell’area, che nel medesimo periodo risulta pari a 65,6 per cento.
Sulla base dell’esercizio effettuato pur con ipotesi prudenziali, laddove tutta la spesa ordinaria delle Amministrazioni Centrali fosse stata sottoposta al rispetto della riserva, l’ammontare complessivo di spesa pubblica oggetto di redistribuzione territoriale sarebbe stato pari a 1,63 miliardi medi annui.
Si segnala, tuttavia, che sia le modalità di verifica del principio, sia la mancanza di un vincolo di cogenza nel raggiungimento dell’obiettivo, rischiano l’inefficacia della norma.
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