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Senise e la rivolta di 87 anni fa: rivoluzione, il tuo nome è donna |
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12/02/2019 |
| Una giornata di febbraio di 87 anni fa. Una paese del profondo sud, Senise. Un periodo che i libri di storia (e non solo) ricorderanno come Ventennio Fascista. Un clima di miseria e dignità, fatica e orgoglio. E le donne. Donne che si ribellano ad una legge che sembrava scritta sulla roccia ma che trasudava prevaricazione. Ma loro non ci stanno.
E' la protesta delle senisesi contro le numerose e sempre più schiaccianti tasse imposte dal podestà, che costò alle rivoltose un mese di carcere nella ''lontana'' Lagonegro. Quello che vi proponiamo è il racconto di quella giornata, scritto dalle studentesse del liceo classico 'Isabella Morra' che hanno svolto le ore di alternanza scuola lavoro nella redazione de lasiritide.it.
Una racconto a metà tra la vera testimonianza di Domenica Corizzo (oggi 90enne) e la trama di un romanzo. E' il primo passo di un progetto di recupero della memoria di quei giorni. E se, tra chi legge, qualcuno vorrà dare il proprio contributo con ricordi legati a chi c'era all'epoca, saremo felici di registrarli. Mariapaola Vergallito
“U rurc i febbraji fu disgrezijiet, che n’menz a né chiazz pubblc fum errstat.”
Quante volte si sente parlare delle suffragette, della Resistenza femminile risorgimentale , delle partigiane o ancora dei movimenti femministi degli anni ’70?
Ma non tutti sanno che anche Senise ,proprio nel periodo più impensabile della storia italiana, nel fascismo, fu teatro di uno sciopero capeggiato da donne. Un vero e proprio esempio di emancipazione femminile che va al di là delle convenzioni sociali dell’epoca. Il 12 Febbraio (proprio oggi) ma nel lontano 1932, al mattino, un gruppo di giovani donne del paese si unirono per dare vita a una protesta contro le pressioni fiscali imposte dal podestà, come era chiamato il sindaco nel ventennio fascista. Da diverso tempo infatti u banntor ( il banditore ) gridando “u potestà fa sapè” portava alla conoscenza della cittadinanza le sue ‘’scomode richieste’’.
Erano tempi davvero duri per le famiglie di Senise e, in generale, del sud Italia, accresciuti non solo dalle imposizioni del regime fascista, ma anche dalle precarie condizioni economiche, aggravate, immaginiamo, dal freddo di febbraio.
A capo della rivolta vi erano donne come Domenica a Giurgin, Beatrice Del Giorno, Marzia “ra trremot “ e Santina di Udine che condussero le rivoltose negli uffici comunali, dove ebbero modo di scatenare la loro rabbia gettando all’aria libri, scrivanie, quadri , registri di nascite, di matrimoni; insomma, una vera e propria occupazione. Una di loro, Beatrice, staccò il quadro raffigurante la regina e scese in piazza mostrandolo sopra la sua testa, orgogliosa. Si dice addirittura che provarono a buttare giù un armadio della segreteria, ignare che all’interno si nascondesse in realtà un segretario comunale, spaventato dalla situazione.
Nel comune regnava il caos, e nessuno sapeva come spegnere il fuoco rivoluzionario, fin quando un impiegato comunale, don Matteo Zaccara riuscì a dissuaderle dal loro intento, ricordandogli che all’interno di quegli uffici c’erano i documenti della nascita dei loro figli, dei loro matrimoni e che avrebbe arrecato gravi problemi distruggerli.
Ma il ‘’bersaglio’’ principale era il podestà, assente perché impegnato nella vicina Chiaromonte, ma le donne non si arresero e decisero di aspettarlo “ere curv i panzard “(attuale curva di Panzardi), dove tramarono addirittura di buttarlo dal dirupo!
Ma il podestà era stato informato, e così lasciò la situazione in mano all’autorevolezza dei carabinieri, nonostante in quel tempo fossero pochi nell’organico. Tra questi è ben noto il maresciallo ‘’Giorgio’’. Intanto le rivoltose si erano ritirate nelle loro case, ignare di ciò che stava per accadere.
E’ sera. La sera di quei tempi ovviamente, quando già alle 17.00 tornava il buio.
Mariti, fratelli e padri delle donne rivoltose si accingevano a tornare in paese dopo una giornata di duro lavoro nei campi, completamente all’oscuro di ciò che fosse accaduto nella mattinata; armati di fiaccole per farsi luce, i carabinieri si diressero all’entrata del paese, dove raggiunsero alcuni di loro, ignari di quello che fosse successo durante il giorno.
Ma l’operazione non finì lì: infatti , anche le donne furono arrestate. Beatrice fu svegliata di soprassalto da suo marito, che la invitò ad alzarsi, perché appena giunto il maresciallo Giorgio ad arrestarla. Anche per Domenica e le altre giunse la stessa sorte. Soltanto una, Santina di Bergamo, riuscì a salvarsi, e di questa vicenda, ricordiamo un simpatico aneddoto: quando i carabinieri bussarono alla sua porta, il marito la chiamò per avvisarla del loro arrivo, ma lei, con un gesto memorabile, mise a bollire un po’ d’acqua ed esclamò: “Adesso facciamo la barba a Giorgio!”, tramando di volerla buttare dal balcone dritta dritta alla sua testa. Il maresciallo, non ricevendo risposta, se ne andò.
Nel frattempo le donne furono scortate dai carabinieri presso le carceri della ‘’lontana’’ Lagonegro, e questi momenti vengono ben ricordati in una canzone che racconta proprio di quel viaggio: un vero e proprio inno alla loro forza.
Insomma, stiamo parlando di donne audaci, eroiche, davvero al di là degli schemi, donne che in un mondo duro, ostile a qualsiasi tipo di iniziativa presa dal popolo, hanno deciso di far sentire la propria voce, di far valere i propri diritti, anche a costo di farsi male. Già, farsi male, perché le temerarie alloggiarono nelle buie e fredde carceri di Lagonegro per ben un mese, e dovettero essere difese da un avvocato per uscirne! Ma anche in quei momenti mostrarono la loro forza. E infatti come recita la canzone, la permanenza gli parve “na villeggiatur”, e la stanza “ na stanza rigal” !
Miriam Abalsamo
Rita Abitante
Mary Carmen Ciminelli
Per lasiritide.it
nella foto: Rivoltosi e sparo petroleuses edifici pubblici a Parigi durante la Comune di Parigi, 1871 (1906). Artista: sconosciuto.
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Non con i miei soldi. Non con i nostri soldidi don Marcello CozziParlare di pace in tempi di guerra è necessario, ma è tardi.
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