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M5S, denuncia tra attivisti: due assoluzioni per diffamazione

8/05/2019

Maurizio Martinelli e Fausto Santagata sono stati assolti dall’accusa di diffamazione, sollevata da un altro attivista, “perché il fatto non sussiste”.
La denuncia, che raccontiamo in estrema sintesi, era scaturita da una conversazione su Facebook risalente al 2104, cui ha partecipato anche una terza persona, anch’egli citato in giudizio dal medesimo querelante e condannato però al pagamento di 500 euro di multa.
Nella discussione, tra l’altro, si chiedeva che, così come avvenne all’epoca per il tenente Peppe Di Bello, “il certificato dei carichi pendenti” fosse richiesto anche nei confronti di un altro attivista.

“L’importanza di questa sentenza è duplice – scrive in una nota Giuseppe Di Bello, oggi candidato consigliere al Comune di Potenza nella lista di Valerio Tramutoli –, la prima è che la chiave di lettura rispetto ai fatti accaduti il 4 ottobre del 2013, ovvero che l’espulsione post doppia vittoria dell’attivista 5 stelle Giuseppe Di Bello risultato primo degli eletti nelle consiliature regionali del 15 settembre 2013, e vincitore delle presidenziali il 4 ottobre del 2013. All’epoca si ebbe a dire che la motivazione era da ricercarsi nella sentenza di primo grado a mio carico, di condanna a mesi 2 e giorni 20 non luogo a procedersi e beneficio di non menzione della pena che sia pure con casellario giudiziario intonso, faceva gravare su di me pur sempre una sentenza di condanna in primo grado per violazione dei segreti d’ufficio. Anche alla luce di questa sentenza di assoluzione di due attivisti denunciati da una persona che pur avendo pendenze penali non è stato mai espulso per la famosa regola del non Statuto. Tanto la denuncia, quanto la successiva notizia di reato, va sottolineato risalgono al 2014 quando sia le regole che valevano per il sottoscritto secondo il principio che uno vale uno avrebbero dovuto valere per tutti gli attivisti. Da quanto emerge anche da atti del Tribunale con tanto di sentenza si evince invece alto: ovvero che l’espulsione di Giuseppe Di Bello fu determinata da un gruppo coeso di attivisti che intendevano far fuori una persona scomoda e non alla rigida applicazione di una regola presente all’interno di un movimento politico, perché se un Giudice emette una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste su ben 2 attivisti denunciati colpevoli di aver paragonato la mia vicenda alla vicenda di un altro attivista con problemi pendenti con la Giustizia di profilo ben diverso sotto il profilo etico e morale, da quelli che a quel tempo venivano contestati al Di Bello il quale poi com’è noto vince successivamente ben 2 sentenze di Cassazione e conclude positivamente l’intero iter processuale nel 2018. Una persona scomoda al punto da far prendere di mira persino altri attivisti che osassero citare il nome di Giuseppe Di Bello all’interno di una chat chiusa e privata nella quale si dibatteva di tutti gli argomenti inclusi anche quelli legati ai carichi pendenti o alle sentenze”.

“Bene i fatti successivi sono noti a tutti venne inviata una segnalazione allo staff il giorno delle elezioni presidenziali che si tennero on line segnalazione che fuori tempo massimo ovvero dopo che gli attivisti iscritti e certificati diedero la vittoria a Giuseppe Di Bello, in violazione di democrazia partecipata avvenne l’espulsione”.
“E’ lecito a questo punto – si chiede il tenente prendendo come spunto il caso di chi, a suo dire, sia stata trattato dal Movimento in modo differente – pensare che anche altri abbiano ottenuto lo stesso e identico trattamento di favore da un lato ed aggressione e denuncia ingiustificata dall’altro come il caso di questi due attivisti a cui è stato negato il diritto di partecipare alle elezioni per il Movimento 5 stelle solo per aver chiesto l’applicazione delle stesse regole all’interno di una chat chiusa ed usata dai cinque stelle Lucani”.
“In chiusura intendo precisare due cose: la prima, la piena solidarietà agli attivisti e miei sostenitori, o è meglio dire sostenitori della correttezza e che per questa ragione hanno dovuto nominarsi un avvocato perché citati in giudizio per delle frasi nelle quali era riportato come termine di paragone, per quali motivi vi fossero problemi giudiziari all’epoca nel confronti del sottoscritto e quali fossero invece in capo ad altri. L’altra considerazione che faccio pubblicamente è la seguente, ed è un punto di domanda: perché tutto l’odio espresso in modo inequivocabile ad opera del gruppo così detto vincente nei miei confronti?”.

Gianfranco Aurilio
lasiritide.it



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