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La voce della Politica
Forza Italia:presentata mozione su Stroke Unit Basilicata |
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14/12/2017 | Per dimensioni epidemiologiche e per impatto sociale ed economico, tanto a carico del servizio sanitario quanto delle famiglie dei pazienti che ne sono affetti, l’ictus rappresenta uno dei più rilevanti problemi sanitari del Paese.
In Italia l’ictus costituisce la prima causa di invalidità permanente, la seconda causa di demenza e la terza causa di morte, dopo le malattie cardiocircolatorie e quelle tumorali.
Venticinque persone colpite ogni ora, oltre 200 mila l’anno: questi i numeri drammatici di una malattia senza dubbio correlata all’età, passando dalla quarta all’ottava decade di vita l’incidenza aumenta in maniera esponenziale( addirittura di cento volte ), ma che non risparmia i giovani, atteso che il 10-15% dei casi di ictus riguarda persone comprese tra 18 e 45 anni, con un trend di incidenza della patologia negli under 50 in costante aumento, a causa dell’utilizzo di droghe (oppiacei, cocaina e soprattutto anfetamine ed ecstacy)
Se si tiene conto che gli ultrasessantacinquenne in Italia rappresentano oltre il 20 per cento della popolazione è facile immaginare quali altissimi costi sociali ed economici l’ictus determina e può determinare in futuro a causa delle gravi menomazioni sensoriali, motorie e cognitive che provoca.
Al cospetto di una patologia che è responsabile di quasi il 10% di tutti i decessi annui occorre mettere in campo una strategia in grado di assicurare a tutti i pazienti affetti da ictus un equo accesso alle cure e alle tecnologie sanitarie più innovative ed appropriate.
In primis smettendola di considerare l’ictus una tragica fatalità e delineando, al contrario, un percorso globale che parta dalla prevenzione, attraverso la conoscenza dei fattori di rischio della malattia e il riconoscimento dei sintomi della stessa al fine di una sua diagnosi precoce, prosegua con un trattamento efficace della fase acuta dell’ictus attraverso l’implementazione delle unità neurovascolari ( stroke unit) e si concluda con una fase di riabilitazione post trauma che, sulla base delle condizioni clinico-funzionali del paziente, consenta di approntare il setting più appropriato al contenimento delle menomazioni senso-motorie e al recupero di tutte le capacità, anche cognitive.
L’ictus si può prevenire. Come? Conoscendo e combattendo i fattori di rischio: l’ipertensione arteriosa, che affligge 16 milioni di persone in Italia e che insieme alla fibrillazione atriale rappresenta il principale fattore di rischio dell’ictus, l’abuso di alcol, il fumo, una dieta scorretta e l’inattività fisica.
Elementi di rischio sui quali non esiste ancora piena consapevolezza tra i cittadini anche a causa di una azione di prevenzione e di informazione da parte del Servizio Sanitario nazionale e regionale ancora insufficiente.
Se chi è affetto da ipertensione e fibrillazione atriale vede aumentare nettamente il rischio di ictus e di eventi vascolari rispetto a chi non ne è affetto, prevenire significa, in concreto, incrementare prestazioni come il controllo del potassio e del sodio, l’esame delle urine, l’holter delle 24 ore e la radiografia toracica, consentendo inoltre un più facile e diffuso impiego dei nuovi farmaci anticoagulanti orali che offrono maggiore sicurezza ed efficacia di quelli tradizionali.
Non meno importante promuovere campagne di sensibilizzazione della popolazione sui vantaggi derivanti dall’adozione di stili di vita sani durante l’intero corso della vita, adottando, a tal fine, idonei protocolli con gli ordini professionale e facendo in modo che siano gli stessi decisori pubblici a fare da esempio sulla importanza degli stili di vita salutari nella promozione della salute umana.
Se è vero com’è vero che l’ictus è una patologia tempo-dipendente, occorre porsi il problema del tempo che intercorre tra l’esordio dei sintomi dell’ictus e l’accesso del paziente alla terapia più appropriata all’interno di una unità ospedaliera specializzata, una Stroke Unit.
Evidenze scientifiche dimostrano che per una evoluzione benevola della patologia e per una consistenza riduzione degli effetti invalidanti della stessa è fondamentale non solo abbattere i tempi morti relativi al riconoscimento della sintomatologia dell’ictus, ma anche e soprattutto trasportare il paziente non al pronto soccorso più vicino, bensì all’ospedale tecnicamente più adeguato al trattamento dell’ictus.
Di qui la necessità di garantire al personale del 118 come dell’eliambulanza una adeguata formazione volta al riconoscimento precoce della sintomatologia dell’ictus e di implementare unità neurovascolari di II livello, realtà diffuse in Italia a macchia di leopardo, nel senso che a fronte di un numero ottimale di 350 stroke unit stimato dal Ministero della Salute, se ne contano oggi circa 200, concentrate principalmente al Nord Italia.
Le stroke unit sono strutture espressamente dedicate alla cura dei pazienti affetti da ictus in grado di garantire una presa in carica complessiva del paziente( vale a dire che riguarda tutte le fasi della cura del paziente e quindi quella pre-ospedaliera, quella ospedaliera e quella post ospedaliera) e di assicurare allo stesso servizi e prestazioni sanitarie e sociosanitarie di tipologia e livelli diversi nel rispetto della continuità assistenziale e dell’appropriatezza clinica e organizzativa.
In concreto una struttura che garantisca la disponibilità h24 della fibrinolisi, dell’interventistica endovascolare, della neurochirurgia e della chirurgia vascolare, della neuroradiologia con tac e risonanza magnetica specifiche e della angiografia cerebrale.
Non è un caso che al Sud la mortalità per ictus è maggiore di quella derivante da infarto del miocardio.
Dipende probabilmente dalla carenza in questa parte del Paese di Stroke Unit, nonostante l’Accordo in sede di Conferenza Stato-regioni del 3 febbraio 2005 sulle “Linee di indirizzo per la definizione del percorso assistenziale dei pazienti con ictus”, nonostante il DM 70 del 2 aprile 2015 sugli standard ospedalieri e che disciplina le unità neurovascolari di I e di II livello.
Studi internazionali ed evidenze empiriche testimoniano un netto miglioramento delle condizioni dei pazienti trattati con trombectomia meccanica associata o in sostituzione della trobolisi farmacologica.
E’ questo il salto di qualità che dobbiamo far fare alle nostre strutture, in particolare all’unità neurovascolare del San Carlo di Potenza, perché la trombolisi sistemica, vale a dire il trattamento standard per l’ictus, mostra in molti casi i suoi limiti, non riuscendo a rimuovere con successo i coaguli di sangue che solo la trombectomia meccanica riesce a risolvere.
Una proposta che è l’effetto dell’attuale standard qualitativo della cura dell’ictus fatto registrare dalle strutture sanitarie lucane: con il San Carlo di Potenza che sul parametro “ mortalità a 30 giorni dal primo ricovero” fa registrare un dato(11,36%) in linea con il valore medio nazionale(12,07), mentre risultati peggiori si registrano negli ospedali di Matera( dove la mortalità per ictus, sempre a 30 giorni dal ricovero, fa registrare un dato del 14,29%) oltre che in quello di Lagonegro( 13,33%) e in quello di Policoro(15,79%).
Performance lontane, purtroppo, da quelle che si riscontrano in altri ospedali del Paese( all’ospedale di Modena la mortalità per ictus a 30 giorni dal ricovero si attesta all’8,18%, in quello di Reggio Emilia al 7,33%, in quello di Perugia al 7,85% e agli Ospedali Civili di Brescia addirittura al 4,44%) che rappresentano esempi di best pratice del trattamento dell’ictus e che è opportuno, anzi necessario, cercare di replicare anche in Basilicata.
A tutt’oggi in Italia 940.000 persone sono sopravvissute all’ictus ma hanno riportato effetti più o meno invalidanti, con costi sociali elevatissimi tanto per il sistema sanitario nazionale, quanto per le famiglie dei pazienti, se si pensa che il costo medio dell’assistenza nei primi tre mesi dopo l’evento acuto è di circa 6000 euro per paziente.
Implementare una Stroke Unit è dunque un investimento o, per dirla con il linguaggio degli economisti, una “spesa in conto capitale”, che fa risparmiare risorse importanti tanto al sistema sanitario regionale quanto alle famiglie, consentendo così di eliminare disparità di trattamento tra quanti incappano in questa malattia francamente insopportabili.
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