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Recensione:“Democrazia insicura” libro di Dogliani-Bonucci |
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22/04/2017 | Nel libro di Patrizia Dogliani Marie Anne Matard Bonucci “Democrazia insicura” di 296 pagine, edito dalla Casa Editrice Donzelli, ed acquistabile al prezzo di 30 euro, mette in rilievo che nel suo lungo secondo dopoguerra, l’Italia repubblicana, le sue istituzioni e la sua società sono state precocemente messe alla prova nell’affrontare dilemmi che solo più tardi si sono generalizzati e sono divenuti di bruciante attualità in altri paesi. In particolare in Francia, colpita negli ultimi due anni da feroce violenza, ha visto ripresentarsi polemiche udite Oltralpe in quegli anni ricordati oramai per convenzione come “di piombo”. Sono stati riposti fondamentali interrogativi nella coesistenza civile e per la salvaguardia di uno Stato di diritto: con quali poteri uno Stato si deve attrezzare per far fronte a una violenza che lo attacca nelle sue istituzioni come nei suoi valori, soprattutto quando colpisce il popolo che esso ha il compito di proteggere? E quali sono i confini di esercizio di uno “Stato di diritto”, dunque di uno Stato attento alle libertà fondamentali, a partire dal rispetto della stessa Costituzione, conquistata grazie a una dura lotta per affermare la democrazia nel paese? Com’è possibile, senza uscire dal solco di quella democrazia, combattere gruppi che non solo contestano radicalmente i suoi fondamentali principî, ma anche si servono di quelle libertà acquisite di espressione, d’informazione, di libera circolazione degli individui per contrastarla? Come conciliare le esigenze di “sicurezza” della popolazione e garantire la piena espressione della cosiddetta “opinione pubblica” con un uso “ragionato” della forza, supponendo che sia possibile modularlo all’emergenza? In che misura la democrazia, quando essa è condizionata da una qualche forma di “tirannia” imposta. In sostanza questo libro propone una riflessione a più voci sul modo in cui la relazione tra violenza e repressione ha determinato un particolare modo di fare politica e di concepire la democrazia in Italia. Da un lato, la violenza e il modo in cui è stata combattuta hanno creato sfiducia nelle istituzioni; dall’altro, i diversi difensori dello Stato di diritto hanno costantemente messo in guardia l’opinione pubblica sui pericoli che minano la democrazia e hanno sviluppato nel contempo una cultura politica garantista che è divenuta essa stessa una componente della democrazia. Possiamo dunque parlare di una «democrazia insicura» delle sue capacità a proteggere lo Stato e le sue istituzioni di fronte alla violenza? Una democrazia “insicura”, come l’abbiamo definita, anche nel difficile compito di proteggere i diritti fondamentali dei suoi cittadini. Il progetto di studiare nel contempo diverse forme di violenza può inizialmente far sorgere dei dubbi sulla legittimità concettuale di metterle sullo stesso piano e persino sulla effettiva praticabilità di questo confronto. All’origine, le intenzioni di coloro che le svilupparono non furono certamente le stesse: alcuni nell’intessere strategie ideologiche si espressero attraverso la violenza politica e il terrorismo; le diverse mafie se ne servirono a fini di lucro. Però osserviamo che i modus operandi degli attori furono gli stessi: rapimenti, rapine, attentati dinamitardi, su un fronte; dall’altro, lo Stato che reagisce con metodi che confondono spesso almeno due obiettivi: l’intento di reprimere le violenze e insieme una dimostrazione di forza che va al di là della semplice repressione e appare piuttosto un avvertimento rivolto all’opinione pubblica. Benché differenti nelle finalità, criminalità ed estremismi politici hanno tentato a volte di allearsi su interessi comuni. Nella lotta al terrorismo, ad esempio, i magistrati non hanno esitato a utilizzare l’articolo 306 del codice Rocco, concepito per perseguire il brigantaggio ma scritto in termini vaghi da consentire, come sottolinea nel suo contributo Andrea Bavarelli un suo riuso per gli altri fini e non bisogna tuttavia dimenticare che l’esperienza maturata nella lotta al terrorismo aiutò la lotta alla mafia la quale ha causato stragi con molte vittime ed ancora oggi non è stata estirpata.
Biagio Gugliotta.
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