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Presentato a Francavilla il libro di Don Lorenzo Melfi

10/04/2011

Alla presenza del Vescovo della Diocesi di Tursi-Lagonegro, Monsignor Francesco Nolè, dello studioso Giovanni Percoco, del parroco di Francavilla sul Sinni e Vicario del Vescovo, don Franco Lacanna e dell’autore, don Lorenzo Melfi, è stato presentato il libro “La passione di un simbolo contestato” (Capuano Editore). Con la Chiesa Madre di Francavilla gremita, i presenti hanno potuto così ascoltare un dibattito che, prendendo spunto dal “Crocifisso” (questo il “simbolo contestato” protagonista del libro di Don Melfi), ha attraversato l’attualità e la storia. “Un dibattito-ha detto Don Franco- che bene si inserisce nel periodo quaresimale che stiamo vivendo e che ci deve far riflettere sull’attualità e sull’universalità di questo simbolo, che incarna, in maniera generale, i valori della dignità umana, della cultura del dono e della solidarietà”. Oltre 170 pagine, introdotte dalla prefazione dello studioso Giovanni Percoco; pagine in cui don Lorenzo traccia un percorso di una riflessione che (e non poteva non essere così) è coerente con la dottrina teologica ma che (ed è questa la grande forza del libro) offre spunti a tutti e in diversi settori.
“Nella cultura e nell’ambiente cristiano-ha spiegato Percoco- la croce e il crocifisso ne rappresentano la prerogativa. Non c’è crocefisso senza croce e dunque è d’obbligo parlare in primo luogo della croce, e al di là dell’ambiente cristiano. Ma la croce e i crocifissi esistevano già prima di Gesù”. (in basso l’intervento integrale del Professor Percoco).
Don Lorenzo presenta il Crocifisso in assoluta conformità rispetto alle norme dell’Istituzione a cui appartiene. Ma, fin da subito, dedica ampio spazio alle opinioni diverse dalla sua. Dalla citazione alla stampa nazionale ed estera, inserita nella sua oggettività ai “retroscena” storici; a come il Crocifisso viene rappresentato iconograficamente e nel mondo dell’arte, con un interessante riferimento al “Cristo di Lèon” di Marino di Teana, che “accoglie i suoi figli” e trasforma il gesto di tribolazione in un gesto di accoglienza e di perdono; fino alle vicende politiche che, negli ultimi anni, ne hanno accompagnato il dibattito.





L’intervento del Professor Percoco
L’avventura – diciamo così – del Crocifisso contestato con la denuncia della sig.ra Lautsi (di origine finlandese) pervenuta alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo il 27 luglio 2006, è stata un buco nell’acqua perché il 18 marzo 2011 la stessa Corte ha assolto l’Italia.
Io non parlerò di questa lunga cronaca che è a conoscenza di tutti. Parlerò, invece, da laico, della croce e del crocifisso proponendo argomenti di natura storica.

Nella cultura e nell’ambiente cristiano la croce e il crocifisso ne rappresentano la prerogativa. Non c’è crocefisso senza croce e dunque è d’obbligo parlare in primo luogo della croce, e al di là dell’ambiente cristiano.
Va subito detto che la croce e i crocifissi esistevano già prima di Gesù: a nessuno sfuggono le crocifissioni in massa del re Dario di Persia che fece crocifiggere 3000 abitanti di Babilonia. Alessandro Magno fece crocifiggere 2000 sopravvissuti all’assedio di Tiro. Molti ricorderanno la rivolta di Spartaco e i 6000 ribelli che Crasso fece crocifiggere nel 71 avanti Cristo lungo la Via appia che da Capua porta a Roma.
Presso i Celti si crocifiggevano i criminali per sacrificarli agli dèi. Anche i Cartaginesi usavano la crocifissione. E si potrebbe continuare.
Il simbolo della croce è antichissimo: è frequente nelle fasi della preistoria e della protostoria. Lo troviamo nelle ceramiche eneolitiche della Mesopotamia e dell’Egitto sotto tante forme.
La diffusione del simbolo crociato che si trova nelle diverse culture distanti fra loro nel tempo e nello spazio, s’accorda con la grande diffusione della concezione di un cosmo quadripartito di cui la croce sarebbe la rappresentazione grafica. Ma qui interessa parlare e discutere della croce come simbolo e come strumento di tortura.
Se io dicessi che Gesù non è morto in croce, rischierei da parte del nostro vescovo almeno un anatema o addirittura la scomunica.
Se un testimone di Geova osasse affermare che Gesù è morto in croce, verrebbe dissociato per apostasia dalla congregazione. Basta leggere le pubblicazioni dei testimoni di Geova, i quali ritengono che Gesù è stato appeso a un palo. Però Joseph Rutherford, il 2° presidente dei TdG nel 1921 scrisse un libro L’Arpa di Dio e a pag. 114 riporta un’immagine di Cristo crocifisso su una croce con il titulus, il cartello della condanna in 3 lingue: ebraico, greco e latino in aperta contraddizione con l’attuale posizione dei TdG.

La questione croce-crocefisso a questo punto si complica.
Lo svedese Gunnar Samuelsson, teologo dell’università di Göteborg, il quale ha scritto una tesi di 400 pagine sulla crocifissione, ha delle riserve in merito a quest’argomento. Egli scrive: “Nei testi della Passione non c’è alcuna informazione esatta, come noi cristiani vogliamo credere. [l’autore non è un ateo] Se si cercano i testi che rappresentano l’azione di inchiodare una persona ad una croce, non se ne troveranno”.

Tralasciamo l’aspetto cristologico e soffermiamoci su quello storico e linguistico, e prima d’ogni altro argomento fissiamo i termini del ragionamento: la parola greca stauròs nel significato di sostegno conficcato in terra è molto antica: la troviamo negli autori classici. Anche nel testo greco del Nuovo Testamento troviamo la parola stauròs con il significato di croce. Tertulliano scrive nel suo Apologetico (XVI, 7): “E’ parte di una croce ogni legno che sia posto in direzione verticale”.
Di quale tipo di croce, però, dobbiamo parlare? Come strumento di tortura per il condannato a morte v’era un tipo di croce la cui forma era la T, consistente in un elemento verticale incrociato con un altro orizzontale alla sommità. In questo caso ci troviamo di fronte alla CROCE che richiama la lettera tau dell’alfabeto greco, simbolo caro a S. Francesco d’Assisi e stemma della vergognosa crociata dei bambini del 1212.
Però questo tipo di croce non consentiva di attaccare alla sommità il titulus, cioè il cartello che indicava il motivo della condanna a morte. Nel caso di Gesù il titulus è stato posto al di sopra del capo (Mt, 27:37: et imposuerunt super caput eius causam ipsius scriptam: Hic est Iesus, rex Iudæorum). Quindi è da escludere che Gesù sia stato crocefisso sulla croce a T, la crux commissa.
Dobbiamo allora convenire con i testimoni di Geova sul fatto che Gesù sia morto appeso a un palo che in greco si dice xylon che vuol dire legno?

Lorenzo Minuti nel suo volume I testimoni di Geova non hanno la Bibbia, Roma 1997 da pag. 185 a 189 riporta il carteggio intercorso fra Valter Farneti, presidente italiano dei TdG e la casa editrice Le Monnier di Firenze, - siamo nel 1988 - perché nelle loro pubblicazioni i TdG avevano ripreso il termine greco xylon dal vocabolario greco Liddel Scott, pubblicato proprio da Le Monnier usandolo, però, arbitrariamente.
Xylon in greco significa legno e per traslato gli si attribuiva il significato di croce. Nella letteratura della Patristica si riscontrano i termini xylon e stauros, ma xylon nel senso di palo non può essere lo strumento del supplizio di Gesù Cristo per i motivi sopra detti. E allora come si è giunti alla storia dello xylon, cioè del palo?
Si è giunti alla figura del palo per via dell’immagine del pesce. Troviamo il simbolo del pesce nei primi tempi del Cristianesimo perché a causa delle persecuzioni i cristiani mascheravano con simboli criptici l’appartenenza alla religione cristiana. In greco pesce si dice ichthys e associando ad ognuna delle 5 lettere della parola ichthys un nome greco si otteneva un criptogramma: I per YESUS, CH per CHRISTOS, TH per THEOU, Y per YUYOS, S per SOTER e si otteneva Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, come capitava nel criptogramma risorgimentale VIVA VERDI che doveva nascondere agli Austriaci la ragione dei moti rivoluzionari, e che voleva dire VIVA VITTORIO EMANUELE RE D’ITALIA.
Se sistemiamo la figura del pesce in posizione verticale con le pinne divaricate, possiamo vedervi la figura di un uomo legato ad un palo, ma nelle versioni latine del Nuovo Testamento la parola greca stauros è sempre tradotta con crux e non con palus.
In ogni modo la questione non è semplice considerato che ancora oggi gli studiosi ne discutono molto. Che il palo abbia a che vedere con la croce è vero, ma esso era solo una parte della croce, come ha scritto Tertulliano: era lo stipes che veniva incrociato col il patibulum, il palo trasversale che il condannato doveva trasportare fino al luogo dell’esecuzione.
Quando i Romani condannavano qualcuno al palo dicevano ad palum alligare, figere in palum.

L’iconografia cristiana della croce e della crocifissione non è storicamente rappresentata. Ad esempio Gesù crocifisso appare con le mani trafitte dai chiodi, e nei quadri delle stazioni della Via crucis è raffigurato Gesù che porta la croce intera invece del solo patibulum.
Il monaco ortodosso greco, Vassilios Tzaferis, archeologo, scoprì nell’estate del 1968 a Givat Ha-Mivar vicino Gerusalemme un ossario con ossa di un giovane uomo crocifisso, databile tra il 7 e il 66 d.C. Le braccia e non le mani erano inchiodate al patibulum. Tutte le immagini di Gesù crocifisso mostrano le mani e non i polsi trafitti dai chiodi.
E qui si riaccende la questione sulla base anche del testo del Vangelo di Giovanni, capitolo XX versetto 25: dopo la resurrezione di Gesù i discepoli dissero a Tommaso: “Abbiamo visto il Signore”. L’incredulo Tommaso rispose: “Se non vedrò nelle sue mani la ferita provocata dai chiodi e non metterò il mio dito nel suo costato, non crederò”
(Nisi videro in manibus eius fixuram clavorum, et mittam digitum meum in latus eius, non credam). A mio avviso la parola mani per metonimia indicherebbe la parte per il tutto e comprenderebbe anche il polso; e questa ipotesi annullerebbe il problema dei chiodi che trafiggono le mani o i polsi.

Ora, però, lasciamo questi argomenti e vediamo come la croce è impiegata per diversi usi.
Prima del Mille era adottata come simbolo presso l’altare e come elemento religioso nelle processioni papali.
Nel sec. XIII gli arcivescovi e i vescovi avevano il diritto di farsi precedere dalla Croce con l’immagine del Cristo rivolta verso di loro. Anche gli abati avevano lo stesso diritto.
A tale proposito ricordo che agli inizi del 1200 il conte Giacomo Chiaromonte invitò i cistercensi di Casamari a fondare una loro abbazia nella sua contea. I cistercensi accettarono e venne da noi una colonia di 12 monaci, simbolo dei 12 Apostoli - guidati da un abate; e una croce processionale li precedeva. L’abate era il Beato Palumbo, che fu il primo abate dell’abbazia di Sagittario.

Per quanto riguarda la Croce in ambiente popolare dobbiamo ricordare che essa era impiegata per usi religiosi e anche propiziatori-apotropaici commisti a fede e superstizione. La croce, ad esempio, era posta sulla parete frontale del palmento in segno propiziatorio per la fermentazione delle uve pigiate. Gli abitini che si portavano sotto i vestiti oltre a comuni immagini sacre avevano anche una croce. Quando le massaie facevano il pane in casa, riponevano la pasta nella madia e prima di coprirla con coperte per farla fermentare, affondavano la radimadia (raschiatoio per pulire la madia che in dialetto locale si dice rasolë) nella massa della pasta tracciando un leggero segno di croce e dicevano: criscə.
Quando un bambino sbadigliava, la mamma con il pollice faceva un segno di croce sulla bocca del piccolo contro l’affascino. Quando si impiegavano i vari formulari magici, si direbbe, misti a preghiere per incantare l’affascino, per allontanare il male di testa, il male di pancia, si facevano segni a forma di croce.
Nel 1980 in un convengo a Ruoti e Castelgrande ho parlato proprio dei formulari apotropaici improntati a fede e superstizione usati dalle nostre nonne. E ancora oggi c’è chi crede al mal di testa da scacciare con preghiere e formule magiche.
A pagina 163 del libro di don Lorenzo figura un Cristo crocifisso senza croce. Nel testo la frase che colpisce di più è: “Voi mi avete ucciso, ma io vi accolgo”. Anche noi abbiamo una croce regalataci dal mondo globalizzato, dalla crisi a tutti i livelli, dai politici e dai politicanti, ma non so se, come il Cristo di Marino, abbiamo il coraggio di accogliere coloro che ci crocifiggono.

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