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La rivoluzione

5/02/2011

Devo questo articolo a una persona molto più grande e più importante di me, mio padre, che da poco tempo ci ha lasciati e che per tutta la vita ha creduto fortemente nella possibilità che l’uomo in generale, nelle sue forme di espressione sociale, e ogni singolo individuo hanno di costruire il proprio avvenire.
Di Antonio Salerno
La nostra è senza dubbio un’ epoca di grandi trasformazioni sociali, di impensabili conquiste tecnologiche, di continue ricerche da parte dell’uomo di riferimenti morali che non hanno il tempo di consolidarsi e già non sono più sufficienti a contenere il nuovo pensiero che avanza al galoppo. Ci sono però cose che restano immote e allora si ha la sensazione di trovarsi dinanzi a un quadro nel quale il soggetto cambia in continuazione circoscritto però in una cornice che rimane immodificabile. Parti di questa cornice sono il cosmo, le leggi naturali e sicuramente l’uomo con le proprie esigenze, la propria umanità e così, proprio quando tutto sembrava divenuto etereo, ideale e le grandi armi di distruzione di massa parevano essere divenute oggetti da destinare agli sguardi curiosi ed agli scatti delle macchine fotografiche dei turisti ecco la guerra del Golfo, la Serbia, poi un’altra guerra in Iraq. Il mondo occidentale e industrializzato, il mondo del pacifismo di massa, degli eserciti cibernetici, del dogma ecologico viene ad un tratto tirato per i piedi alla cruda realtà della guerra, costretto a fare i conti con le proprie responsabilità dall’inferno mediorientale, dalle tematiche umanitarie del terzo mondo che chiede con forza un posto nella storia moderna e così arrivano quasi senza sorpresa l’Afganistan, la Cecenia. Ma ciò che veramente ha sconvolto la mente di molti è ciò che oggi avviene in Tunisia e in Egitto: la rivoluzione. Un evento che era divenuto quasi un tabù, una parola impronunciabile qui da noi che ad un tratto arriva qui in carne ossa e sangue, su tutti i teleschermi, proprio alle porte dell’Occidente. L’uomo che rivendica ancora una volta la propria centralità e la antepone alle leggi dell’economia, ai modelli sociali consolidati, agli equilibri politici locali e internazionali. È come un fremito febbrile che scuote il mondo, come un urlo nella notte che interrompe i sogni sereni e mette angoscia. Quel grido ci dice che nulla è eterno e che tutto può mutare se l’uomo lo desidera. Capite bene cosa tutto ciò provochi nelle menti di quanti vivono tra gli Dei dell’Olimpo nella assoluta convinzione che nulla potrà mai scuotere la loro pace. Ecco allora che ci affidiamo alle pagine suggestive e toccanti di Federico Ottolenghi per cercare di riflettere su questo fenomeno grandioso e brutale al tempo stesso e con esse viverlo dal di dentro. Ma partiamo dal concetto stesso di rivoluzione: essa presuppone la partecipazione di tutto il popolo ad una protesta. Ma a cosa serve una rivoluzione? A cambiare delle regole che costringono in uno stato di oppressione e disagio la maggioranza degli individui appartenenti ad una determinata società a vantaggio di una minoranza che detiene il potere. Andiamo allora a conoscere i pensieri che l’ Ottolenghi attribuisce a Marat in una splendida ricostruzione della vita del tribuno: “chi osserva in questo momento il piccolo uomo (Marat), si convince immediatamente della forza sovrumana in esso raccolta e non può dubitare che una forza morale inestinguibile debba creare ed alimentare quella fisica, che ormai dai patimenti, dalle ansie, dai dolori dovrebbe essere stata frustrata…domani forse egli, “il” gnomo, ribadirà con rinnovata energia e con un discorso lapidario…le accuse contro l’”Austriaca”, la quale, dilapidate in giochi e in bagordi le casse dello stato, vorrebbe ora riuscire a sventare la salutare opera della rivoluzione – apparentemente distruttrice – chiedendo l’aiuto delle armi straniere…dinanzi agli occhi della tigre ( Marat) si snoda ora il lungo nastro della storia amarissima del popolo per il quale combatte e dal quale talvolta è combattuto…l’uomo al chiarore fioco del cero che va lentamente consumando esprime con il suo volto un sentimento che si avvicina all’odio, ma che in fine non è se non feroce amore; amore per gli oppressi tanto grande da trovar riscontro solo in quello di una lupa che sapendo i lupetti difesi unicamente dalle sue zanne e dai suoi denti, li veda in pericolo. Passano per la sua mente le superbe sale di Versailles ed i profumati giardini del Trianon dove nobili elegantissimi e fatui, sussurrano cinici ed arguti frizzi, sfiorando il lobo delle nivee orecchie delle grandi dame, votate anch’esse perennemente, come i loro cavalieri, ai giuochi, alle cacce, alla lussuria, ai bagordi. Rivivono nella mente del Montagnardo gli intrighi degli azzimati abatini di corte e delle lussuriose cortigiane prezzolate dal ministro di palazzo, per soddisfare le voglie insane del Re. Ha l’impressione di leggere - eppure nulla ha dinanzi agli occhi – le scandalose cronache di Brantome, di Tallemant e di Saint Simon, che pongono a nudo le sconcezze compiute dalla nobiltà riparata nei formidabili castelli, senza controllo di legge, libera di commettere i più orribili soprusi sugli abitanti delle borgate e sui contadini. Rivive la losca figura del maresciallo di Rays…risorge la serie dei delitti commessi impunemente dalla nobiltà d’Auvergne, mentre riecheggia sardonico il riso cinico di Madame di Sèvignè alla notizia della strage di quei poveri contadini che abbrutiti dalla fame e dagli stenti, ribellatisi per disperazione, furono in massa impiccati. E alla serie delle cattiverie e dei soprusi, succede quella non meno imponente dei vizi, primo fra tutti quello che la leggenda vuole che abbia decretato la caduta di Sodoma prima e la distruzione di Gomorra …e via via il massacro dei protestanti delle Civennes, le gigantesche orge che venivano allestite nei reali palazzi e in quelli degli aristocratici crapuloni…le labbra di Marat si contraggono ora più energicamente: alla ribalta della sua fantasia è balzato come per incanto, la figura ibrida dell’abate Dubois il quale, ad onta del suo passato, sottratti otto milioni allo Stato , li offre per conseguire la distinzione della porpora. Un colpo apoplettico tronca intanto il respiro del Reggente nell’atto di congiungere le sue labbra con quelle della favorita Falarais. I magistrati che condannano ai più terribili e lancinanti supplizi uomini che si rendono rei di lievi delitti e che sentenziano la pena del rogo al giovinetto La Barre, resosi reo di insulti all’indirizzo di un rozzo feticcio di legno, sono gli stessi che trascorrono lunghe ore nelle alcove profumate, tra le braccia delle cortigiane di moda, raffinate nell’arte di procurare paradisi artificiali; i rappresentanti del governo nelle provincie che denunciano, condannano ed eseguono, sono gli stessi che ruberanno a man bassa, che spacceranno monete false e condurranno vita scandalosa tra i trivi e le crapule!... Marat si scuote: aggrotta le ciglia come ad afferrare un’immagine mobilissima che gli sfugga: “il parco dei cervi”! qui le ragazze più ingenue e più pure, scelte per lo più tra quelle di condizione disagiate, vengono – compiuto il ratto da parte della sbirraglia o vendute dai genitori – rinchiuse a disposizione della volontà del Re. Echeggia ancora il grido dolorante di queste martiri…il popolo moriva di fame nelle campagne, moriva di fame mentre il cardinale di Rohan si bagnava nel latte per conservare candida l’epidermide. Soffriva il freddo il popolo, mo il cardinale Bouillon spendeva ingenti somme per soddisfare quel vizio che doveva tramandarlo alla storia quale “vescovo di Sodoma”…e il cardinale Richiard a Venezia, con l’avventuriero Casanova, si faceva notare e altrettanto criticare per i suoi amori con la Pompadur e per la vita scandalosa…”. Così, e con molto altro ancora che qui, per ovvi motivi, non possiamo riportare, con uno stile scorrevole, elegante e delicato il bravissimo Ottolenghi descrive i pensieri di Marat e in quei sentimenti contrastanti di amore e odio, sete di giustizia e amara costatazione delle ingiustizie che colpiscono il popolo, individua l’anima della rivoluzione. Rivoluzione che a volte scandalizza, tante volte terrorizza sempre purifica le società da sistemi ingiusti, brutali e corrotti. Ma oltre agli aspetti pratici dietro ogni rivoluzione c’è anche un grande sogno, l’idea di una società perfetta, giusta, quel sogno che portava Robespierre a dire che una società giusta per essere completa deve anche essere religiosa in senso lato. Dietro ogni rivoluzione c’è un grande sogno e un uomo che sogna che non deve essere necessariamente un grande uomo ma può essere l’oste della taverna all’angolo della nostra strada, lo studente, l’artigiano o l’ufficiale che ci propone Pasternàk nel suo Dottor Zivago eche qui riportiamo come proclama dello spirito rivoluzionario: “gli dirò: fratelli, guardatemi. Io, figlio unico, speranza della mia famiglia, ho dato tutto, non mi sono risparmiato, ho sacrificato il mio nome, la mia posizione, l’amore dei genitori per conquistare una libertà della quale nessun popolo al mondo gode l’eguale. Questo ho fatto io e un gran numero di giovani come me. È forse per noi che l’abbiamo fatto? Ne avevamo bisogno noi? Ora non siamo semplici soldati di linea, come prima, ma i combattenti del primo esercito rivoluzionario del mondo. Domandatevi onestamente: avete mai meritato questo alto titolo?”. L’uomo che combatte la grande battaglia non più per preservare o aumentare i privilegi di altri uomini ma per migliorare il proprio destino e quello dei propri figli. Ma le vicende della storia sembrano seguire i destini delle singole, umane esistenze. E così, come la vita dell’uomo può essere raffigurata da una parabola che per quanto mirabile conosce sempre una fase di ascesa e una di inesorabile discesa tale sembra pure il destino della rivoluzione che partendo dall’Idea nella sua fase di fulgido fulgore poi torna sempre all’uomo e alle sue miserie: a coloro che dalla rivoluzione riescono a succhiare quella linfa che gli darà forza e potere per poi ricominciare in molti casi il ciclo delle ingiustizie. Ma intanto la storia avrà fatto un passo in avanti e l’Uomo avrà occupato il posto che gli spetta in un mondo nuovo, in un futuro che adesso gli appartiene e che ha già preso il posto del presente…



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