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Robin Hood

12/01/2011


“ C’era una volta nella Contea di Nottinghamshire, in Inghilterra, una grande foresta , la foresta di Sherwood, nella quale viveva rifugiato un eroico personaggio di nome Robin Hood “. Era questo il consueto inizio del racconto preferito da Marco, un meraviglioso bambino dai grandi occhi verdi e dallo sguardo triste: quel Marco , che ora al supermercato, seduto sul seggiolino del carrello della spesa, guarda voglioso le merci variopinte negli scaffali lucenti, certo ancora desideroso di afferrare qualcosa, ma ormai intimidito dai troppi “no” ricevuti, dai troppi rimproveri che hanno sortito l’effetto di inibirlo e di piegarlo, già alla sua età, alla volontà adulta. Resta quindi lì triste e taciturno, ostentatamente chiuso in un timoroso silenzio. E’ però pur sempre un bambino, che, infine , vinto dalla gola, approfitta lestamente di un momento di distrazione dei genitori per trarre da uno scaffale un pacchetto di dolcini e per nasconderlo abilmente sotto gli altri prodotti presenti nel carrello. Il momento della verità però non tarda ad arrivare, ed è quando appunto il carrello fa sosta davanti alla cassa numero 12. La madre di Marco comincia a prendere dal cesto, uno ad uno, i prodotti, mentre il cuoricino del bimbo comincia a battere più forte; gli occhietti verdi e grandi restano fissi sui gesti materni che rovesciano sul banco gli acquisti. Il piccolo trattiene addirittura il respiro, quando la mano del genitore infine tira su la scatola dei dolcini; gli occhi gli si fanno ancora più piccoli e il suo cuoricino sembra arrestarsi: un comportamento che ci immediatamente alla mente un fenomeno sociale sempre più grave e diffuso, il pauperismo, che investe fasce sociali insospettabili anche in Italia. Il degrado economico in cu la società italiana versa oggigiorno fino a questo punto ancora non sembra essere tornata e la scena appena descritta potrebbe essere considerata rientrante in un normale rapporto genitore – figlio di una qualsiasi famiglia in tal senso ritenuta “ normale “. Tornando però alla stessa scena, notiamo però che la madre guarda mortificata il suo bambino mentre, senza dire una parola, va a riporre nello scaffale la scatola colorata; poi, riavvicinandosi al piccolo che a stento trattiene le lacrime, sorridendo, teneramente gli sussurra: “ la prossima volta, tesoro !….Oggi abbiamo già speso tutti i soldini che avevamo “. Viene da chiedersi: quanti sono pronti a considerare veritiera ed estesa una situazione ed una condizione sociale del genere in questa nostra società, che produce più di quanto consuma, che sembrava aver risolto al suo interno da più di mezzo secolo il problema dell’indigenza, che si è data un’organizzazione dello stato sociale tale da assicurare a tutti un minimo per una dignitosa sopravvivenza ? Eppure se guardiamo più attentamente intorno a noi, scopriamo che noi stessi siamo stati di certo testimoni di episodi simili a quello capitato al piccolo Marco. Eppure, la nostra cara e amata Costituzione considera superata la sopravvivenza “ da fame “. In essa già l’articolo 3 ostenta con enfasi il termine “dignità”, ed aggiunge con senso perentorio e pregnante : “ è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del paese”. L’art. 31 poi incalza recitando: “ la Repubblica agevola con misure economiche a altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi…protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù…”. Eppure a tantissimi “Marco” la Repubblica chiede di rinunciare quasi a tutto pur di mantenere grassa e in buona salute la corte… . Ma torniamo ancora per un momento al racconto, dal quale abbiamo preso spunto. Chi di noi non ricorda la bella leggenda di Robin e Marian, che iniziava appunto con :” canta, Cantagallo…”. L’antica ballata si apre con Robin Hood che rientra dalle crociate e si ribella ad un sistema di potere iniquo e oppressivo. Gli aspetti più interessanti del racconto risiedono in alcune forti analogie che ci è dato di scoprire tra la concezione della struttura sociale che si aveva nel medio evo e quella che impera nell’Italia del 2011. Si vorrebbe anzi, da parte di alcuni studiosi, far risalire il mito di Robin Hood a preesistenti miti celtici. Davvero singolare la pretesa e minacciosamente profetica nelle sue implicazioni, visto che proprio la politica italiana viene oggigiorno fortemente condizionata da un gruppo di persone che si ispirano ( o pretendono di ispirarsi ) proprio alla cultura celtica così enfaticamente e fantasiosamente ricostruita . Vediamo intanto e per un momento come la vicenda appena richiamata va a finire nel racconto con tanto entusiasmo riesumato dai nostalgici discendenti degli antichi “ barbari “ ( non lo si può negare: per noi erano tali ! ) a proprio uso e consumo. Ricorderemo appena, en passant, che la leggenda vuole che le gesta di Robin Hood si svolgano intorno al 1190, ai tempi cioè di Riccardo I°. E’ la collocazione storica anche da noi ritenuta più verosimile ( in altre versioni, l’epoca degli accadimenti viene spostata di circa un secolo in avant ). Nell’Inghilterra di quell’epoca il potere regale era stato temporaneamente riposto in mano a Giovanni, fratello del legittimo re Riccardo, detto “ cuor di leone “ , impegnato in una crociata. Giovanni, più di ogni altra cosa, amava il denaro, il potere e gli agi di corte. Ma la vita di corte aveva dei costi elevati e allora bisognava, per mezzo dell’ apparato esattoriale, spremere il popolo con tasse e gabelle di ogni genere, proprio come succede nell’Italia di oggi. Infatti anche la nostra bella Nazione, da circa un ventennio, è governata da una classe di politici ( non tutti, per fortuna ) “ crapuloni “ , a voler credere alle abbondanti cronache mondane e …giudiziarie, categoria di persone che noi in questo caso potremmo chiamere convenzionalmente “ la corte ghiottona”. Questi politici, molti dei quali collusi con mafie, mondo della finanza, imprenditoria ecc. fondano le loro personali fortune e quelle dei propri amici e parenti su di una molto discutibile gestione della cosa pubblica : i soldi delle tasse in breve vengono per molta parte utilizzati per arricchire se stessi, i propri amici, gli affiliati e quanti fanno parte di quella vera e propria corte festante, esattamente come nel medioevo, quando, per fare solo qualche esempio, c’erano, gerarchicamente ordinati, l’ Imperatore o almeno il Re, il Principe, il Granduca, l’Arciduca, il Duca, il Marchese ( o anche il margravio o marchese di frontiera ), il Langravio), il Conte palatino ( o Conte del sacro Palazzo ) , il Visconte, il Barone, il Signore, il Patrizio il Nobile, il Dominus, il Cavaliere. Ognuno di questi aveva una sua piccola corte di parenti, amici, dipendenti e tutti vivevano di rendite e di sfruttamento del popolo, in maniera dunque assolutamente improduttiva . Al loro posto - e senza poi tanta fantasia – ordinati più o meno secondo patrimonio finanziario, oggi ci sono il Berlusconi ( cognome che definisce ormai una irraggiungibile condizione sociale e politica ), i Finanzieri o Banchieri, i grandi manager o executive, i Ministri i sottosegretari, i Governatori, gli industriali, i banchieri, i mafiosi, gli appaltatori, imprenditori di ogni genere : tutti, o quasi tutti, impegnati a far affari con i soldi pubblici. E c’è da dire che lo facessero almeno con professionalità, rispettando le regole della libera concorrenza in un veramente libero mercato, tutto potrebbe apparire più tollerabile. Ma non è così, anzi molti di loro ed in moltissimi casi si abbandonano all’estro più sfrenato superando persino il più sregolato medioevo. Oggi giorno il moderno meccanismo di gestione del potere politico affaristico si è perfezionato a tal punto da poter essere perpetuato da chiunque salga al potere : in breve, lo si potrebbe definire, con un ossimoro, un meccanismo “ dinamicamente cristallizzato”. La legge elettorale in vigore poi ( ricordiamolo sempre : approvata e conservata,da entrambi gli schieramenti ) ha per così dire “ istituzionalizzato “ l’esistenza della corte ghiottona. A monte, viene fatta una attenta selezione di quanti potrebbero essere destinati a succedere al politico nel momento in cui, per morte naturale o veramente accidentale - visto che, ad esempio, fra i senatori a vita, alcuni sfiorano e qualcuno ( ben auguratamente, nel caso che ci viene in mente ) supera perfino i cento anni di età - lascerà infine un posto vacante nella politica. E come suo primo requisito chi lo sostituirà ( fatta qualche rara eccezione ) dovrà essere comunque ( parafrasando il grande F. F. Coppola nel film “ Il padrino 3 “ ) uno che tiene la barra del timone sulla stessa rotta dei suoi predecessori. È vero anche - e lo abbiamo ribadito in più occasioni - che agli italiani non piacciono le rivoluzioni e neanche i cambiamenti radicali : i crapuloni dunque da noi navigano sempre in acque sicure. Non furono proprio i nostri lontani antenati ( Giovenale, per la precisione ) ad inventare la locuzione “ panem et circenses” , o, più di recente, il regime borbonico di Napoli con la locuzione “ Festa, farina e forca “ ) per significare che, se si vuole dominarlo, il popolo va nutrito, divertito, e…terrorizzato ? Non è certo per caso che dopo secoli tali insegnamenti rimangono attualissimi. Ma torniamo al racconto. Quelli in cui hanno luogo le gesta di Robin Hood erano certo tempi molto duri : a farla breve, la gente comune era davvero affamata ed il motto per giunta derisorio del reggente Giovanni era proprio “ ruba al povero per sfamare il ricco ”. Qualcuno potrà obiettare : ma ai poveri si può rubare poco perché hanno poco !. E’ Vero. Ma i poveri sono tanti e questo compensa ampiamente ! Alla base di questa logica predatoria comune sia a Giovanni che alla corte ghiottona vi è la convinzione che ci sono persone che, per destino benigno, dalla vita debbono avere tutto, e magari anche di più di tutto, e ci sono persone che, per destino maligno ma anche per una sorta di predisposizione innata, possono e devono rinunciare a tutto ed anche a più di tutto. Ma torniamo alla parte più interessante della nostra storia: per chi ( del popolo minuto, si intende ) non pagava le tasse imposte da Giovanni c’era lo sceriffo arcigno e dallo sguardo acuto che sapeva bene dove, quanto e come riscuotere. Nella leggenda, questo drittone era arrivato a portar via persino il regalo di compleanno al coniglietto Saetta, pur consistendo questo regalo in un solo, misero soldo. I mezzi di persuasione usati erano abbastanza sbrigativi : prima le intimidazioni, poi si bruciavano le case o si mutilavano gli arti dei poveracci che non riuscivano a soddisfare le continue richieste, rendendoli di fatto, oltre che più poveri, anche inabili al lavoro. E’ davvero impressionante come tutto si ripeta con fedeltà ancora oggi qui in Italia : a dispetto di quanto sancito nella nostra Costituzione, ossia la sacralità della persona, il diritto inalienabile alla dignità ed al rispetto, il diritto al lavoro, alla salute, alla cultura, un cittadino può essere tranquillamente spogliato di ogni suo avere su mandato della corte ghiottona. Certo, non c’è più lo sceriffo cattivo che brucia la casa, ma più civilmente ci sono Equitalia e l’Agenzia delle entrate che egualmente te la tolgono e se la vendono: sono spettacoli ormai consueti sugli schermi televisivi, si trattasse di poveri vecchi o di invalidi in condizioni miserrime. Certamente oggi non ci sono più gli sgherri che rompono le ossa agli insolventi, ( e non per caritatevole commossa concessione dei creditori, che a volte persino li rimpiangono ! ): essi però sono stati validamente sostituiti dagli “ ufficiali giudiziari “ , che con aspetto e cipiglio professionale asettico non molto dissimile,, anziché riportare al giudice che li ha inviati, come problema sociale che riguarda tutti, una obiettiva ricostruzione della situazione e dei problemi che hanno, fra l’altro, generato l’insolvenza e delle possibili soluzioni, portano tranquillamente via il mezzo col quale ci si reca o si svolge il proprio lavoro, i mobili di casa, il televisore, forse anche gli orecchini e la fede dalla salma della bisnonna che magari ancora giace in mezzo alla stanza. Pensate quali drammatiche conseguenze una simile condotta istituzionale genera ad un rappresentante di commercio o semplicemente a qualcuno che lavora in un posto non servito da mezzi pubblici. Il racconto di Robin, con grande sollievo dei lettori, finisce così : qualche tempo dopo re Riccardo “ cuor di leone “ torna dalla guerra e, resosi conto di quanto accaduto durante la sua assenza, condanna per le loro malefatte, quanti ne avevano colpa : lo sceriffo di Nottingham, il principe Giovanni e sir Biss, nello specifico, vengono condannati a spaccar sassi. A Nottingham tornano finalmente tutti felici: la gente può comprarsi una casa senza più timore di vedersela togliere; i giovani possono frequentare nuovamente scuole bene attrezzate ed efficienti; gli adulti possono trovare un lavoro appagante; gli ammalati possono essere curati in ospedali pubblici adeguati ai bisogni. I tempi duri erano finalmente cessati. Robin e Marian partono, non quali emigranti in cerca di miglior fortuna, come capita di vedere oggi qui da noi, ma sposi felici sulla loro splendida carrozza. La nostra corte ghiottona che si trastulla col danaro pubblico non può certo occuparsi o preoccuparsi della dignità dell’uomo. Eppurei sarebbe giusto privare chiunque non paghi un debito del suo superfluo ma mai della sua dignità. La casa poi dovrebbe essere protetta al di sopra di ogni altro bene, perché è il luogo nel quale soltanto può trovare consistenza non soltanto anagrafica quell’entità sociale tanto vagheggiata ed esaltata, che tutti dicono di voler proteggere ma che di fatto tante volte e così facilmente non si peritano di ledere irreparabilmente e persino di distruggere :la famiglia.


Antonio Salerno



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