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Medici ‘tuttofare’: un esempio di vita dedicata al bene altrui

8/05/2018

Ho conosciuto il Dottor Stefano Cenerini su internet. L’ho aiutato in qualche modo nella sua opera meritoria, che svolge come medico in Etiopia, fino a quando gli ho dato in regalo il microscopio, che mi ha permesso di aiutare tante coppie che non riuscivano ad avere figli.
Dopo essermi laureato a Pavia, specializzato in ginecologia, ho lavorato in Inghilterra per apprendere la lingua ed infine sono stato ricercatore al Karolinska di Stoccolma, dove ho studiato a fondo la fertilità umana
In questa mia attività pratica mi ha molto aiutato il microscopio e per il suo acquisto, a quei tempi, fui sostenuto da mio fratello Francesco, giovane avvocato a Milano.
Durante la mia carriera professionale ho aiutato la natura a far nascere tanti bambini e privarmi di uno strumento, a me caro, mi ha provocato un forte dispiacere, ma il sapere che continua ad essere ben utilizzato, per portare aiuto a persone in stato di bisogno, mi riempie di gioia.
Riportiamo di seguito l’articolo e la foto che il collega Cenerini ha voluto inviare.


Il medico col cacciavite

Con piacere ho accolto l’invito del collega ed amico Antonio Molfese di raccontare quello che faccio in Etiopia.
Preferisco tuttavia partire da ciò che sono, poiché il resto apparirà poi con maggior semplicità.
All’ultimo anno di liceo incontrai un medico missionario, Leonardo: le sue parole mi cambiarono la vita, per cui l’anno seguente mi venne quasi naturale iscrivermi a Medicina. Sono poi stato con lui in Etiopia per alcuni mesi, sia durante il sesto anno degli studi, che tre anni dopo. In definitiva, pur essendo una parola grossa, sono qui cercando di fare del mio meglio come medico missionario. In totale sono quattordici anni di Africa, di cui la metà in Etiopia.
Mi trovo nel sud del paese a 453 km da Addis Abeba. La missione si chiama Bacho, nella provincia del Dawro: è molto remota. Infatti ci sono 116 chilometri di strada sterrata per arrivarci. La strada è in via di allargamento ed asfaltatura: in forse cinque anni dovrebbe essere pronta. Tuttavia il vero nodo è la montuosità del territorio: ci sono oltre 4000 metri di dislivello complessivo da Soddo (ultima città a 2000 metri slm) a qui (1245 m). Pertanto gli attuali tempi di percorrenza sono di tre ore e mezza, solo in lieve calo in futuro con l’asfalto.
La clinica della missione cattolica è una piccola struttura, nata nel 2007 per fornire un servizio sanitario di base alla popolazione dei villaggi nel raggio di una ventina di chilometri.
Con il mio arrivo nel 2015 l’ho gradualmente fatta crescere, mettendo in atto alcune attività neglette nella provincia, in primis oculistica ed odontoiatria.
In pratica nelle otto stanze di cui la clinica è composta, mi sono organizzato come segue: il mio ambulatorio, dove pratico tutta la parte medica e la chirurgia minore in anestesia locale; una piccola sala parto; l’ambulatorio dell’infermiere (che lavora autonomamente su una lista concordata di malattie); una stanza per l’ecografia e le estrazioni dentarie; il laboratorio analisi (ad orientamento prevalentemente parassitologico); il day hospital; infine due magazzini (uno medico ed uno chirurgico). Sarebbe meglio avere un po’ più di spazi, cosa in fase di pianificazione.
Quali siano le mie attività mediche è presto detto: medicina generale (in cui capeggiano malaria da Plasmodium vivax e amebiasi), oculistica di base, dermatologia, pediatria.
Per la parte chirurgica invece, prendo a prestito questa frase: “Dovranno eseguire tutte le operazioni di bassa Chirurgia; prestarsi in casi di tumori infiammatori, ferite, lussazioni, fratture, parti laboriosi ec, ed eseguire tutto ciò che sarà in loro potere affine di sollevare i pazienti”, dato che quanto mi capita di praticare qui ogni giorno gli si avvicina molto. Non solo: le grandi distanze (più in termini di tempo che di chilometri) succitate, rendono inutile proporre al paziente l’andata in città presso l’ospedale ove è presente il chirurgo. Nel 99% dei casi mi viene risposto che è troppo lontano, quindi troppo costoso.
Per farsi cavare i denti alcuni pazienti vengono anche da molto lontano.
I quattro collaboratori fissi che ho sono di bassa lega: tuttavia in essi va apprezzato lo sforzo di crescere professionalmente secondo le mie indicazioni.
Ogni giorno si arriva a sera stanchi, ma consapevoli che in vari casi si è intervenuti in modo determinante per il bene del paziente.
Nonostante i titoli e l’effettivo impegno medico-chirurgico quotidiano per molte ore, le mie mansioni presso la clinica non terminano qui.
Bastano due citazioni: “Mi scusi dottore, ma io avevo capito che lei in Africa faceva il medico”. “Stefano, come mai hai il cacciavite nel taschino [della divisa bianca]?”
Dotare con regolarità di una sufficiente quantità di acqua la clinica non è affatto facile. Abbiamo un generatore trifase col quale si aziona una pompa ad immersione che pesca in un pozzo ad oltre 100 metri di profondità; tutto ciò va accuratamente mantenuto, se si vuole l’acqua quotidiana.
Poi la pioggia che entra dai tetti, nuove attrezzature da montare, vecchie da riparare, e tanto altro fanno si che spesso, anche troppo spesso, tra un paziente e l’altro sia necessario correre ad aggiustare qualcosa, o quantomeno a verificarne lo stato. Non posso dire che si tratti di qualcosa di particolarmente difficile, ma sicuramente incide come notevole dispendio di energie.
Dulcis in fundo, di sera bisogna occuparsi della parte amministrativa: stipendi, tasse e pensione dei lavoratori, aggiornamento dei dati di farmacia e laboratorio, statistiche sui pazienti, relazioni ai donatori in Italia.
Così un e-mail di Giorgio Cornia del 3-8-2017, dopo aver letto delle mie attività: “Un medico factotum, senza (o con tutte) le specializzazioni in Etiopia, contro i medici iperspecializzati alle nostre latitudini”.
Alla fine quasi ogni giornata è molto piena: di soddisfazioni, di sofferenze, di dubbi.
Immancabilmente sono le prime che antepongo al resto, facendole intimamente prevalere.
Come scrive papa Francesco: «Una cosa che fa la differenza tra la beneficenza abituale (…) e la promozione, è che la beneficenza abituale ti tranquillizza l’anima: ‘Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire'. La promozione ti inquieta l’anima: “Ma, devo fare di più: e domani quello e dopodomani quello, e cosa faccio…’. Quella sana inquietudine dello Spirito Santo». Stefano Cenerini, 29-4-2018


Antonio Molfese
medico giornalista



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