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'Persone,non schiave':il progetto del Ce.St.Ri.M per le donne vittime di tratta |
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23/11/2017 |
| “Ho sempre sognato di venire in Europa, mi piaceva. Ho visto l’opportunità, l’ho colta… ma è stato un inferno per me!”. Natasha viene dalla Nigeria, è una delle tante vittime di tratta e sfruttamento. È arrivata in Italia con un’idea, un sogno; invece, come tante altre donne, ha cicatrizzato crudeltà sulla sua pelle. “Sono stata picchiata… non sapevo che mi avrebbero messo sulla strada; ero arrabbiata, frustrata”. Dall’altro lato, però, c’è anche chi questa crudeltà cerca di trasformarla in luce, in speranza. È questo il senso del progetto “Persone, non schiave” realizzato dal Ce.St.Ri.M – Centro Studi e Ricerche sulle Realtà Meridionali – con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento Pari Opportunità: un progetto d’integrazione per tutte quelle donne vittime di tratta e grave sfruttamento sessuale, lavoro forzato e accattonaggio, coinvolte in attività illecite quali espianto di organi, mutilazioni genitali e matrimonio forzato. Questo progetto – presentato mercoledì 22 novembre, nella sede Ce.St.Ri.M in Via Sinni a Potenza – ha avuto una durata di 15 mesi e ha visto accolte 23 donne, con l’obiettivo primario di ricevere la persona, con tutto il suo vissuto, le sue paure e le sue speranze. Operatori e volontari sulle strade lucane dove queste donne sono costrette a vendersi; un’equipe (che si costituisce di psicologi e assistenti sociali) che, prima di un pasto caldo, porta vicinanza, ascolto; la possibilità di sognare un mondo diverso. “È la bellezza e la fatica di un progetto che va avanti da vent’anni.” – così ha esordito Don Marcello Cozzi, vicepresidente nazionale di Libera, durante la presentazione del progetto – “È fondamentale costruire uno Ius Humanitas, prima ancora che uno Ius Soli, perché l’impegno nasce dall’incontro… Quando facciamo salire queste ragazze sulle nostre auto, proviamo ad ascoltare le loro storie”. Incontro che porta a uno scambio alla pari, reciproco; ed ecco che “la ferita dell’altro diventa una feritoia, attraverso la quale scoprire e cercare di capire un mondo da noi ancora lontano”. Le attività svolte sul territorio hanno dato la possibilità di rafforzare quell’impegno per fare emergere il fenomeno della tratta in Basilicata, assicurando un percorso di integrazione sociale delle vittime, che ha portato queste donne ad acquisire autonomia e integrazione socio-culturale. L’unità di strada (prima fase del progetto) condotta dal Ce.St.Ri.M s’è composta di tre uscite settimanali, con venti volontari coinvolti, per un totale di settanta incontri con donne di diversa nazionalità (italiana, nigeriana, ecuadoriana, albanese e rumena); successivamente, nel momento in cui la donna decide di denunciare, sono previste tre fasi importanti: la protezione in una “casa di fuga”, in una località garantita; la prima accoglienza, dove le donne hanno assistenza legale, sanitaria, psicologia e amministrativa; e la seconda accoglienza, che ha come obiettivi quelli di stimolare l’empowerment (la riconquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni) e di offrire formazione professionale e percorsi di autonomia lavorativa e sociale. Si può fare riferimento ad un unico numero verde (800.290.290, chiedendo della postazione di Potenza e Matera), attivo su tutto il territorio nazionale. Sono esperienze reali, concrete, a stretto contatto con le vittime e i loro carnefici. Un traffico di vite umane che si compie nel buio della notte, le cui conseguenze però sono illuminate da un sole fin troppo accecante. Nelle sue attività il Ce.St.Ri.M propone anche delle aule sociali per formarsi all’accoglienza, per restituire dignità alle persone e per progettare insieme una cultura che accoglie, ospita e integra: non solo donne vittime di tratta e sfruttamento, ma anche famiglie schiacciate dai debiti e dall’usura, persone con disabilità e un focus sulla violenza di genere. Una realtà vitale quella del Ce.St.Ri.M e delle sue attività sul territorio lucano. Di donne che hanno subito lo stesso destino di Natasha ce ne sono fin troppe; ma oggi Natasha – come abbiamo potuto vedere dalle immagini del docu-film diretto da Salvatore Esposito – ha riacquistato il suo sorriso.
Una grande conquista, una speranza nuova.
Marialaura Garripoli
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Non con i miei soldi. Non con i nostri soldidi don Marcello CozziParlare di pace in tempi di guerra è necessario, ma è tardi.
Non bisogna aspettare una guerra per parlarne. Bisogna farlo prima.
Bisogna farlo quando nessuno parla delle tante guerre dimenticate dall'Africa al Medio Oriente, quando si costruiscono mondi e società sulle logiche tiranniche di un mercato che scarta popoli interi dalla tavola dello sviluppo imbandita solo per pochi frammenti di umanità; bisogna farlo quando la “frusta del denaro”, come ...-->continua
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