Senise, 30 anni dalla frana:il ricordo, la riflessione, la preghiera
26/07/2016
Ventisei luglio 1986. Ore 4,15 circa. Un forte boato, la corrente elettrica va via, la luce dei lampioni si spegne. La terra ingoia se stessa. Non è un terremoto. Collina ‘Timpone’, a monte dell’abitato di Senise, implode. Il ventre completamente vuoto della terra si apre e si prende tutto: alberi, lampioni. E case. La prima è quella in cima alla collina, bianca e illuminata a giorno. D’un tratto non c’è più. Lo smottamento taglia la terra con la precisione di un chirurgo con un bisturi: una Fiat Uno, la sera prima parcheggiata davanti casa, resta pericolosamente in bilico. L’onda di terra si allarga a destra e a sinistra; la sua forza travolge le altre case più a valle. Una dopo l’altra. Vengono coinvolte almeno 12 palazzine, per fortuna molte di esse erano ancora in costruzione. Altre no. In cima alla collina, nella casa illuminata a giorno, abitavano Rocco Gallo e sua moglie Rita. Con loro i due figli piccoli, Giovanni e Francesco. I bambini, protetti dal corpo dei genitori, riescono a salvarsi e vengono estratti feriti, ma vivi, dai primi soccorritori. Mamma e papà non ce la fanno. Non distante dalla famiglia Gallo abitava la famiglia Formica: Giuseppe e Linuccia. Con loro la figlioletta Lucia e la sorellina, Francesca, nata appena un mese prima. Si salva solo Lucia. Più a valle ci sono altre case. Pochi minuti prima dell’apocalisse la signora Lucia Durante era uscita per raggiungere l’autobus e recarsi nel Metapontino per la raccolta delle fragole. Suo marito Vincenzo, guardiano notturno, non è ancora tornato. In casa ci sono i tre figli: Maria, Pinuccio e Maddalena, la più piccola. La lingua di terra travolge la loro casa. E loro. Quando Vincenzo torna, come di consueto, percorre una strada che dalla parte alta del quartiere lo porta a casa sua. Non sa ancora nulla. Si rende conto che qualcosa è accaduto perché sente rumore di sirene. Corre con il cuore in gola verso la sua casa. Ma non la trova più. Sua moglie era già arrivata sul posto di lavoro quando, l’autista dell’autobus, in maniera concitata, si avvicina a lei e le dice che bisogna tornare a Senise. L’attesa continua fino a tarda sera, quando uno dei figli sarà l’ultimo corpo estratto dalle macerie. Intorno ci sono solo ringhiere divelte e giocattoli sporchi di sabbia. Otto morti in pochi minuti. E’ prima di tutto questo la frana di collina ‘Timpone’ a Senise. Otto morti. Tra questi 4 bambini. Figli senza genitori e genitori senza figli. Un paese in ginocchio e sgomento. Una tragedia annunciata.
“Ai vivi dobbiamo rispetto, ai morti solo la verità” diceva Voltaire. Ma qual è la verità di collina ‘Timpone’? La frana di Senise è chiaramente una tragedia annunciata. Su quella collina, fatta di argilla e fango, vuota all’interno e appesantita da una zona residenziale eccessivamente ampia, non si sarebbe nemmeno dovuto costruire. Eppure risultavano regolari licenze e i cittadini che vi abitavano non erano abusivi. Un altro smottamento, di piccole dimensioni, aveva interessato la zona nel marzo del 1985 e della probabile pericolosità della condizione del ‘Timpone’, tanto che anche le telecamere di rai3, un anno e mezzo prima della tragedia, erano state a Senise a documentarne l’accaduto. “Che la collina di Senise avrebbe potuto cedere lo sapevano in molti- scrisse, all’epoca, ‘l’Osservatore Romano’- Lo temevano tutti. Anche la Protezione Civile. L’area interessata alla frana è infatti nota come una delle zone a più alto rischio idrogeologico della Basilicata. Tanto che un anno prima il genio civile di Potenza aveva previsto una serie di interventi finalizzati alla canalizzazione delle acque di superficie e di falda. Queste opere non sono nemmeno state avviate”. La denuncia più forte, all’indomani della tragedia, arrivò proprio da Lucia, la madre dei tre fratellini rimasti sotto le macerie.
“Io glielo dicevo a quelli del Genio civile di mettermi nell’elenco- dichiarò- perché, è vero, abbiamo fatto tanti sacrifici per costruire questa casa, ma ancora di più per crescere tre figli. Loro mi guardarono e si misero a ridere. –Signora, ma dove vuole andare? Qui può dormire tranquilla- Loro erano istruiti, mi rassicurarono. Io che dovevo fare?”. Chi frequentava il quartiere ‘Timpone’, completo di opere di urbanizzazione, lampioni, villette, ricorda ancora oggi, però, che anche i marciapiedi “camminavano”, si allargavano.
Era la terra che si muoveva e che, benevola, faceva quel che poteva per avvertire dell’imminente pericolo. Un avvertimento che, evidentemente, è rimasto inascoltato. Forse ci si accontentava di parlare di “fantasmi” che abitavano il vecchio casolare in cima alla collina.
Senise si ferma per ricordare la frana di collina Timpone a trent’anni di distanza. Lo ha fatto già ieri pomeriggio, con un’iniziativa promossa dalla testata giornalistica lasiritide.it che, grazie alla collaborazione di tanti colleghi giornalisti e fotografi (Renato Cantore, Mimmo Sammartino, Luca Turi, Nino Cutro, Giuseppe Carbone, Antonio Rondinone) ha realizzato un filmato per ripercorrere le cronache di quei terribili giorni. La storia è stata ripercorsa attraverso e grazie alla testimonianza di chi, per lavoro, arrivò a Senise in quelle ore per raccontare la tragedia, con il prezioso supporto di immagini dell’epoca.
Questa sera, invece, il parroco don Pino Marino chiama la comunità senisese a radunarsi in preghiera. Alle 18,30, presso la chiesa di San Francesco, sarà celebrata la Santa Messa in ricordo delle otto vittime. Subito dopo l’amministrazione comunale deporrà una corona di fiori accanto al ceppo commemorativo installato qualche anno fa all’ingresso del quartiere Timpone.
Non con i miei soldi. Non con i nostri soldi di don Marcello Cozzi
Parlare di pace in tempi di guerra è necessario, ma è tardi.
Non bisogna aspettare una guerra per parlarne. Bisogna farlo prima.
Bisogna farlo quando nessuno parla delle tante guerre dimenticate dall'Africa al Medio Oriente, quando si costruiscono mondi e società sulle logiche tiranniche di un mercato che scarta popoli interi dalla tavola dello sviluppo imbandita solo per pochi frammenti di umanità; bisogna farlo quando la “frusta del denaro”, come ...-->continua